Egregio Avvocato,
ho appreso da poco della sua nomina a direttore generale
dell’Azienda Ospedaliera Sant’Anna e San Sebastiano di Caserta e, dopo le voci
che con insistenza si sono rincorse circa il possibile commissariamento della
struttura per illegittimità riscontrate nella sua gestione da un’apposita
commissione d’accesso, accolgo la notizia dell’avvio di una gestione ordinaria con soddisfazione e molta,
moltissima speranza.
Ciascuno di noi casertani (parlo di quelli che in città ci
abitano, ma anche di quelli che vivono in provincia) è stato protagonista di
eventi ed esperienze che si intrecciano con la storia dell’ospedale (anzi, del
‘civile’, come ancora siamo abituati a chiamarlo). Non c’è nessuno che nei suoi
reparti non abbia vissuto avvenimenti belli e bruttissimi, felici e dolorosi,
diretti e indiretti: nascite, morti, accertamenti diagnostici, operazioni.
Io, per esempio, ricordo in modo vivido la gioia emozionata
della nascita del mio primo nipote; richiamo con facilità alla mente l’ansia e
la preoccupazione per il mio primo, banale intervento quando ero ancora bambino;
rievoco nei miei incubi la frustrazione e la disperazione per la dolorosa
consunzione prima, e, poi, per la morte di mia mamma; e tanto altro ancora.
Lo conosciamo tutti, il nostro ospedale. E conosciamo
tantissime persone che ci lavorano. La maggior parte, signor direttore, fa il
proprio dovere con coscienza e con la massima possibile dedizione, anche in
condizioni logistiche e operative spesso difficili. Eppure, soprattutto negli
ultimi tempi, sono sempre più numerosi i dipendenti (medici, parasanitari,
amministrativi) che sembrano arrancare, svolgere a fatica (e, starei per dire, a malapena) il proprio compito, piegati
da una sorta di muta rassegnazione al peggio, incapaci di reagire e di
rivendicare con forza la dignità e l’autonomia del proprio ruolo e la
responsabilità delle funzioni svolte. Come se l’ospedale fosse stato avvolto da
una sorta di cappa che imprigiona le energie più fresche, piega le legittime
ambizioni dei più meritevoli, consacra al successo chi non ha altri meriti se
non l’appartenenza a questa o quella fazione che, con alterne fortune, hanno in
pugno la gestione di uno dei più grandi nosocomi della nostra regione.
Io mi auguro che la sua amministrazione, signor direttore,
marchi una visibile e decisa inversione di tendenza, applicando in particolare due
regole rivoluzionarie: quella secondo cui qualunque scelta o comportamento
soggiace soltanto all’interesse dei cittadini e, soprattutto, di chi è malato;
e quella che premia esclusivamente il merito. L’applicazione di questi due
semplici e in fondo banali canoni avrebbe una portata di per sé eversiva e
rimetterebbe in moto la maggioranza operosa e silenziosa dei dipendenti
dell’azienda, dando a essi fiducia e speranza.
Se chi viene da lei non avrà bisogno di farsi annunciare
dal politico di turno; se l’ascolto da lei prestato sarà attento, vero e non
frettoloso e sussiegoso; se, di contro, lo stesso ascolto sarà negato a
progettualità non perseguibili e a vanesi interlocutori; se l’affermazione
delle proprie idee verrà resa libera e posta al riparo da vendette o meschine
ritorsioni; se chi fa e vale sarà incentivato a operare e protetto dalla
reazione dei conservatori che vogliono mantenere lo status quo e le proprie rendite di posizione; se tutto ciò si
avvererà, lei, signor direttore, avrà già vinto, a dispetto di cifre, di
numeri, di statistiche o di altre fredde risultanze contabili e burocratiche.
Cominci, per esempio, a dire ai suoi primari che non
esistono posti letto propri, gestiti come strumento di potere e di
contrattazione, e che tutti i posti letto, nei limiti della razionalità
organizzativa necessaria, sono flessibilmente, fungibilmente a disposizione dei malati e dell’ospedale.
Ricordi ai medici della struttura che la sanità pubblica è,
anzitutto, un servizio, e non
un’occasione per coltivare il proprio orticello, drenando pazienti per propri
interessi (più o meno occulti) o verso strutture private con le quali sono, a
vario titolo, coinvolti.
Rammenti a tutti i dipendenti che i cittadini (i malati,
soprattutto, ma in generale tutti gli utenti della struttura) hanno molti,
moltissimi diritti, fra i quali, innanzitutto, quello alla dignità.
Sottolinei che un’accoglienza educata rende meno duro
l’impatto con l’ospedale e sollecita, a sua volta, comportamenti civili e
responsabili; che un sorriso apre squarci inattesi nella paura per la malattia,
stimolando le capacità di reazione ad essa; che una rassicurazione, una parola,
un cenno del volto, se capitano nel momento giusto, cambiano completamente la
prospettiva di qualunque intensa e umana esperienza, come quella di chi deve
accedere a prestazioni sanitarie o accompagna chi ne ha bisogno.
Raccomandi ai medici di utilizzare un linguaggio semplice, di
non mostrare segni di insofferenza se vengono sollecitati ad esporre
chiarimenti; di dire tutto ma con appropriatezza, delicatezza e continenza
verbale. E non perché lo impone la legge, ma, prima ancora, perché lo esigono
sentimenti di umanità e di pietas.
Esorti i dipendenti (soprattutto i medici con funzioni di
responsabilità apicali o comunque a capo di strutture organizzative) a non
aspettare soluzioni calate dall’alto, poiché in una congiuntura di generale
crisi e di ristrettezze economiche, particolarmente avvertite nel settore
sanitario (la nostra regione, lo ribadisca, è ancora commissariata per
realizzare un piano di rientro dal deficit imposto dal governo nazionale),
niente è regalato, tutto va conquistato e meritato. Chi sa, faccia. Chi può, operi. Chi ne è capace, si attivi. Esistono
possibilità di finanziamento, e quindi di spesa, che aspettano solo di essere
intercettate, e non esigono affatto organizzazione e attivazione verticistiche.
Infine, provi a realizzare, finalmente, una vera e
autentica integrazione fra università e ospedale, evitando sospetti reciproci,
tensioni, guerre fra bande: l’ospedale non sia né terra di conquista da parte
degli universitari, interessati all’implementazione della connotazione assistenziale del loro potere accademico;
né fortino a difesa di intrusioni esterne da parte di ospedalieri incapaci di
misurarsi con l’accademia sul piano
dei fatti e dei risultati. Ancora oggi, signor direttore, esistono nell’ospedale
– a tutti i livelli – feudi gestiti con capricciosa e irresponsabile satrapia.
Li abbatta.
Se farà tutto questo, o perlomeno se incomincerà a farlo,
se dimostrerà di volerci quantomeno provare, avrà dalla sua l’appoggio fervente
della silenziosa maggioranza dei dipendenti della azienda. Ma, soprattutto, la
sincera riconoscenza dei cittadini e dei malati che verranno a curarsi lì, al
‘civile’ e, per chi ha fede, avrà la protezione dei santi patroni che
all’ospedale danno il nome.
Caserta, 25 luglio 2014
Un cittadino
casertano