IL 2 DICEMBRE PRESSO la 2° Sez. del TRIBUNALE DI ROMA LA NUOVA UDIENZA
VERSO LA PRESCRIZIONE (PILOTATA?) IL PROCESSO A CARICO DELL’EX PROCURATORE MAFFEI ACCUSATO DI CALUNNIA E ABUSO DI UFFICIO
Le proteste del difensore Sen. Ferdinando Imposimato, per il Procuratore di Isernia Paolo Albano. –
Mariano Maffei si è dichiarato innocente ed ha incolpato i suoi colleghi. Il P.M. d’udienza ha chiesto un rinvio non conoscendo gli atti.
( Dal nostro inviato )
Roma – – Si è svolta, l’altro giorno, presso la 2° Sez. penale del Tribunale di Roma, un’altra udienza del processo a carico di Mariano Maffei, ex Procuratore della Repubblica del Tribunale di S. Maria C.V., sotto processo per i gravissimi reati di calunnia e abuso di ufficio, nei confronti del suo aggiunto ( oggi Procuratore Capo di Isernia ) Dr. Paolo Albano e del Sostituto Procuratore, Dott.ssa Filomena Capasso.
Roma – – Si è svolta, l’altro giorno, presso la 2° Sez. penale del Tribunale di Roma, un’altra udienza del processo a carico di Mariano Maffei, ex Procuratore della Repubblica del Tribunale di S. Maria C.V., sotto processo per i gravissimi reati di calunnia e abuso di ufficio, nei confronti del suo aggiunto ( oggi Procuratore Capo di Isernia ) Dr. Paolo Albano e del Sostituto Procuratore, Dott.ssa Filomena Capasso.
Nell'ultima udienza, il P.M. delegato dalla Procura a sostenere la pubblica accusa, ha chiesto un rinvio, perchè non era a conoscenza degli atti. Inutili le vibrate proteste del difensore di Albano, Sen. Avv. Ferdinando Imposimato. Ma in apertura d’udienza si era verificato un altro inusitato fatto. Il Prof. Avv. Alfonso Maria Stile, difensore dell’ex Procuratore della Repubblica, ha chiesto che venisse trattato subito il processo, dovendosi recare a Napoli ( Sic!) per la celebrazione di un altro processo che lo vedeva impegnato come difensore. L’istanza è stata accolta – in assenza delle parti lese che sono giunte subito dopo - e il Presidente, anche in considerazione della richiesta del Pubblico Ministero, ha rinviato per il prosieguo alla prossima udienza del 2 dicembre.
Questa situazione, che si è verificata per la seconda volta, lascia “interdetti” se si considera la gravità delle accuse ed il ruolo dei personaggi ( tutti magistrati imputati e parti lese ) e non si capisce perchè la Procura di Roma, in generale tanto attenta a dare lezioni di stile a tutti gli uffici giudiziari d’Italia - non si adoperi, in questo caso, per portare a termine un processo – prima della prescrizione – per dare almeno il buon esempio, considerato il fatto che sono in ballo la credibilità della giustizia e i comportamenti scorretti di alcuni pubblici ministeri e Procuratori della Repubblica.
L’inchiesta di Roma, però, ha già travolto il Maffei, (privandolo della carica di Magistrato Tributario) noto in tutta Italia, non solo per la sua “esilarante” intervista finita su youtube, ( Un procuratore da strapaese: “Ma che state registrando? Spegnete tutto”), che ha fatto sbellicare di risate migliaia di utenti web, in occasione dell’ arresto di “Nutella”, Sandra Mastella, e della iscrizione dell’allora ministro della Giustizia Clemente Mastella, nel registro degli indagati, con le conseguenti dimissioni e la caduta del Governo; ma anche per essere stato oggetto di interrogazioni Parlamentari ( On. Mario Gazzilli, PDL, ex piemme della Procura samaritana ) che lo additavano quale soggetto che aveva tentato di condizionare la “par condicio creditorum” del crac dei fratelli De Asmundis, pretendendo la restituzione di quanto investito in precedenza ( si parlò di 750 milioni delle vecchie lire ) in imminenza del fallimento della Finanziaria Somme poi parzialmente recuperate grazie ad azzeccate azioni giudiziarie.
Un solo accenno per la nota vicenda – che vide coinvolti numerosi professionisti casertani - ( avvocati, notai, magistrati, medici ), il Tribunale di Potenza condannò a sette anni di reclusione ciascuno, per bancarotta aggravata, Guido De Asmundis, Antonio Gioffredi e Alessandro Imperato, imputati nell'inchiesta sul crack da circa 200 miliardi di lire della società "Professione e finanza" di Napoli che, negli anni '90, danneggiò migliaia di risparmiatori napoletani. Fra le persone raggirate vi furono noti professionisti e anche alcuni magistrati in servizio a Napoli (per tale ragione, il processo fu celebrato a Potenza). Il pubblico ministero, Henry John Woodcock, aveva chiesto la condanna di De Asmundis, Gioffredi e Imperato a dieci anni di reclusione ciascuno.
Ma ritorniamo a Maffei, lo stesso, infatti, poiché ricopriva anche la carica di Presidente effettivo di una importante Sezione Tributaria della Regione Campania ( con lauti compensi ) il Consiglio di Presidenza della Giustizia Tributaria, con proprio decreto, lo ha sospeso dalle funzioni di Presidente della Commissione Tributaria di Napoli in considerazione proprio del procedimento che lo vede accusato dei gravi reati.
Il processo, invece, di cui ci occupiamo è nato in seguito ad un esposto del Procuratore Aggiunto Dr. Paolo Albano, ( allora in servizio a S. Maria C.V., ed oggi Procuratore Capo presso la Procura di Isernia), con il quale lamentava una serie di abusi e di interferenze del Procuratore Capo nei suoi confronti e nei confronti di alcuni colleghi. Dopo vari anni di istruttoria, il Gup Dr. Maurizio Silvestri, su richiesta del Pubblico Ministero di Roma, Dr. Giancarlo Amato, rinviava a giudizio il Maffei. per abuso di ufficio formulando il seguente capo di imputazione: “perché agendo nell’esercizio delle sue funzioni di Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di S. Maria C.V. in violazione della disposizione contenuta nell’art. 335 C.P.P. ( che consente l’iscrizione nell’apposito registro soltanto di effettive “notizie di reato” pervenute dalla polizia giudiziaria ovvero acquisite di iniziativa dagli uffici di Procura ) cagionava intenzionalmente ingiusto danno al Procuratore Aggiunto della Repubblica Paolo Albano, in servizio presso il richiamato ufficio giudiziario, con le seguenti condotte: In data coincidente o immediatamente successiva al 7/6/2006 il Dottor Maffei veniva a conoscenza, attraverso il Sostituto Procuratore della Repubblica Maria Di Mauro ( in servizio presso l’ufficio da lui diretto e titolare del procedimento penale 58/06 mod. 21 nell’ambito del quale erano svolte indagini in merito a presunti illeciti ascrivibili al dottor Giuseppe Tatavitto, medico presso l’ospedale di S. Maria C.V. per la predisposizione di falsi titoli professionali in occasione di un concorso da lui vinto, bandito per il conferimento dell’incarico di Direttore Sanitario di quel presidio) di una situazione per la quale relativamente ai medesimi fatti era pervenuto alcuni anni prima presso la Procura della Repubblica di S. Maria C.V. un esposto anonimo. Esposto che era stato inizialmente trattato dal Procuratore Paolo Albano con delega alle indagini ai carabinieri di S. Maria C.V., accompagnata peraltro nel corso dell’attività investigativa da alcuni biglietti manoscritti con i quali il medesimo magistrato aveva precisato gli adempimenti da svolgere in maniera più analitica dall’ufficiale di polizia giudiziaria incarico della trattazione ( maresciallo Enrico Giordano, all’epoca comandante della locale stazione dell’Arma ); la delega era stata poi riscontrata da informativa a firma del richiamato sottufficiale, presentata in visione una prima volta al dr. Albano ma non depositata né registrata presso la Procura di S. Maria C.V., a seguito di rilievi meramente formali da parte del Procuratore Aggiunto contenendo un giudizio dell’operante in ordine alla ritenuta assenza di fatti costituenti reato ( di spettanza più propriamente dell’Autorità Giudiziaria ) e successivamente riproposta senza il predetto giudizio”. Il Dottor Albano nonostante l’esito oggettivamente negativo delle indagini svolte, ritenendo la vicenda meritevole di approfondimento ulteriore, aveva disposto una nuova iscrizione degli atti dal modello 46 al modello 21 (sia pure contro “persona da identificare” e non nei confronti di una specifica persona indagata) con assegnazione automatica nell’ambito del gruppo specializzato competente al Sostituto Procuratore Dott.ssa Patrizia Dongiacomo, continuando a seguire gli sviluppi pi ù significativi dell’indagine ed infine vistando al richiesta dio archiviazione ( dopo che anche una consulenza grafica non aveva consentito di accertare la falsità dell’unico documento segnalato come sospetto dal maresciallo Giordano ).
Le successive indagini condotte dalla dottoressa Di Mauro, peraltro, avevano portato a risultati ben diversi sulla base di una verifica assai più completa operata dalla polizia giudiziaria da costei delegata ( Comando Provinciale Carabinieri di Caserta, Nucleo Operativo ) che aveva preso in considerazione anche altri documenti prodotti dall’aspirante Direttore Sanitario Tatavitto ed aveva approfondito il tema relativo alla falsità del numero di protocollo del solo atto sul quale si era concentrato ( peraltro con esito finale negativo ) l’attenzione del Maresciallo Giordano, evidenziandosi in definitiva una inadeguatezza attività investigativa svolta a suo tempo da quest’ultimo ( ritenuta dolosa dai Carabinieri del richiamato comando Provinciale i quali con informativa 5/7/2006 denunciavano il solo Maresciallo Enrico Giordano quale autore dei delitti previsti dagli artt. 323 -328 e 479 C.P. ). Preso atto di quanto sopra il Dr. Mariano Maffei, disponeva per la trasmissione degli atti contenenti le precedenti investigazioni sfociate in una richiesta di archiviazione del Sostituto Dongiacomo vistata dal Procuratore Aggiunto Albano, alla Procura della Repubblica di Roma, per competenza funzionale ( ai sensi dell’art. 11 del C.P.P. ) segnalando eventuali responsabilità del maresciallo Giordano e “di magistrati di questo ufficio” ed iscrivendo nei confronti del medesimo Giordano le fattispecie previste dagli artt. 323- 328 e 479 C.P. “In realtà siffatta iniziativa – continua la richiesta della Procura di Roma - “era stata assunta in totale assenza di qualsiasi elemento accusatorio, oltre che verso il maresciallo Giordano, nei confronti del Dottor Albano, di fatto a quel punto prontamente e doverosamente iscritto quale indagato dalla Procura della Repubblica di Roma all’arrivo degli atti provenienti dal corrispondenti ufficio sammaritano atteso che egli appariva quale unico possibile magistrato della Procura della Repubblica di S. Maria C.V. coinvolto nelle condotte illecite ascritte al maresciallo Giordano in quanto solo quel Procuratore Aggiunto aveva tenuto i rapporti ed impartito direttive operative al sottufficiale dei Carabinieri nella conduzione delle fasi dell’indagine che si assumeva da parte di quest’ultimo intenzionalmente lacunose; iniziativa del Dottor Maffei che trovava semmai giustificazioni in precedenti dissidi personali e o professionali con il precedente collega ( che nessun sospetto di compiacente collusione a vantaggio di un indagato aveva mai potuto indurre attesa l’assenza di qualsiasi elemento che rilevasse una diretta conoscenza della persona che sarebbe stata favorita. La iniziale delega di indagine che era stata disposta, la successiva indicazione di espungere da una informativa il riferimento all’assenza di reati accertati, la nuova iscrizione degli atti a modello 21 con assegnazione ad un Sostituto Procuratore che aveva poi svolto ulteriori indagini anche tecniche )”. Ed inoltre il Maffei veniva anche rinviato a giudizio per calunnia aggravata nei con fronti di dei Sostituti Dr. Paolo Albano e Dott.ssa Filomena Capasso, “perché ricoprendo l’incarico indicato al capo precedente incolpava il Procuratore Aggiunto Paolo Albano, pur conoscendone le innocenza, di concorso nella consumazione dei reati previsti dagli artt. 323 - 328 e 479 C.P. denunciandolo ( in forma indiretta ma inequivoca ) con le modalità specificate al capo 1) all’A.G. di Roma ( ai sensi dell’art. 11 C.P.P. pur in assenza di alcuna effettiva notizia di reato a carico di costui”.Ed inoltre il Maffei risponde anche di abuso di ufficio nei confronti oltre che del Procuratore Aggiunto Albano anche nei confronti del Sostituto Filomena Capasso per altri fatti. Nel novembre del 2006 il Dottor Maffei veniva a conoscenza – anche attraverso audizioni testimoniali condotte in prima persona unitamente ai Sostituti Procuratori Dr. Alessandro Cimmino e Dr. Luigi Landolfi (contitolari del procedimento penale 9171/06/ mod. 21 nell’ambito del quale erano svolte indagini in merito a presunti illeciti ascrivibili a dipendenti dell’ufficio tecnico Comunale di Orta di Atella ma anche in ordine a possibili condotte compiacenti da parte di appartenenti alle Forze dell’Ordine), di una situazione per la quale relativamente ad analoghi episodi di abusi edilizi resi possibili da connivenze o complicità di tecnici comunali di Orta di Atella era stato presentato alcuni anni prima, presso la Procura della Repubblica da parte dei carabinieri di S. Arpino, un esposto anonimo pervenuto a tale Comando; esposto che i militari avevano in un primo tempo portato presso l’ufficio del sostituto Procuratore della Repubblica Filomena Papasso, ravvisando un collegamento con altro procedimento iscritto a mod. 21 assegnato a quel magistrato, ma che subito dopo era stato portato presso l’ufficio dal Procuratore Aggiunto Paolo Albano, atteso che la dottoressa Capasso non aveva ravvisato alcuna ragione di collegamento.
Il Dr. Albano aveva dato a sua volta indicazione ai carabinieri di S. Arpino ( in persona dei marescialli Vincenzo Franco e Salvatore Ragozzino) di modificare la missiva di trasmissione dell’esposto anonimo, prima di depositarla ufficialmente in Procura, nel senso di togliere il riferimento quale destinatario del Sostituto Procuratore Capasso ( sostituendolo con il suo nominativo ) ed altresì di eliminare un riferimento al Sostituto Procuratore Dr. Donato Ceglie, inizialmente indicato quale soggetto nei cui confronti l’esposto anonimo era stato proposto ( in quanto fratello di un revisore dei conti presso il Comune di Orta di Atella).
Preso atto di quanto sopra il Dr. Mariano Maffei disponeva per l’iscrizione dei due più volte citati magistrati nel registro degli indagati della Procura della Repubblica da lui diretta, quali autori dei delitti previsti dagli artt. 110 – 490 – 61 n°2 e 11 ( non disponendo analogamente nei confronti dei marescialli Franco e Ragozzino) nonché art. 323 C.P. inviando subito dopo gli atti per competenza funzionale alla Procura di Roma. “In realtà – scrive il piemme romano nell’atto di accusa a Maffei – “siffatta iniziativa era stata assunta in totale assenza di qualsiasi elemento accusatorio nei confronti dei dottori Albano e Capasso trovando semmai giustificazione in precedenti dissidi personali e professionali con i predetti ( il primo magistrato, infatti, pur avendo ritenuto necessario di formulare rilievi di natura formale ai carabinieri di S. Arpino, circa la citata missiva di trasmissione iniziale aveva poi regolarmente accettato il deposito dell’esposto anonimo, disponendo con riferimento ai fatti ivi rappresentati una tempestiva delega di indagine ai carabinieri di Aversa, laddove altra identica copia dello stesso atto direttamente pervenuta in Procura nei mesi precedenti, era stata archiviata senza svolgimento di indagine da altro Procuratore Aggiunto dello stesso ufficio; quanto al mancato inoltro della prima nota di accompagnamento ( e conseguente sua cestinazione ) nessuna soppressione di penale rilevanza era ipotizzabile essendosi limitati i carabinieri di S. Arpino ad accettare il suggerimento di apporre modeste correzioni formali ad un atto di mera trasmissione, in epoca precedente rispetto al suo deposito e registrazione presso la Procura della Repubblica di S. Maria C.V. come dimostrato dalla stessa mancata incriminazione dei marescialli Franco e Ragozzino. In merito alla dottoressa Capasso, infine, essa si era limitata conformemente alle regole del codice di procedura penale ed a quelle tabellari esistenti presso la sede di servizio, a dare indicazione affinché un determinato esposto anonimo venisse depositato presso il suo ufficio, per essere acquisito all’interno di un procedimento iscritto al modello 21 ma presso l’apposita struttura centralizzata preposta alla ricezione degli atti.