Leggere che un sammaritano doc, come d'altronde è l'avvocato Mimmo Santonastaso , perché figlio dell'ex sottosegretario ai trasporti Giuseppe, si è preso a cuore la situazione sammaritana, la dice lunga su come la città vuole a tutti i costi difendere quella dignità cittadina che per alcuni anni è stata messa in discussione .
Ecco la sentenza con cui il tribunale amministrativo regionale ha messo un paletto importante affinché la città si difendesse dai soprusi che avvengono giorno per giorno.
Ne vale la pena leggerla
N.
04168/2012 REG.RIC.
REPUBBLICA
ITALIANA
IN NOME DEL
POPOLO ITALIANO
Il
Tribunale Amministrativo Regionale della Campania
(Sezione
Ottava)
ha
pronunciato la presente
SENTENZA
sul
ricorso n. 4168/ 12 R.G., proposto da:
Kinetic Center Srl, in persona del legale rappresentante p.t. rappresentata e difesa dall'avvocato Fabio Sarro, con domicilio eletto presso lo stesso in Napoli, viale Gramsci,19;
Kinetic Center Srl, in persona del legale rappresentante p.t. rappresentata e difesa dall'avvocato Fabio Sarro, con domicilio eletto presso lo stesso in Napoli, viale Gramsci,19;
contro
Comune
di Santa Maria Capua Vetere, in persona del Sindaco p.t.
rappresentato e difeso dall'avvocato Domenico Santonastaso, con
domicilio eletto presso lo stesso in Napoli, via Nicola Nisco 11,
presso l’avvocato Cagnazzi;
nei
confronti di
L'Esperanza
Immobiliare Srl, in persona del legale rappresentante p.t., non
costituita in giudizio;
per
l'annullamento
del
provvedimento prot. n. 0029653 del 07/08/2012, con il quale di
dirigente del settore tecnico urbanistica del Comune di Santa Maria
Capua Vetere, ha ordinato alla societa' ricorrente di non eseguire i
lavori di cui alla s.c.i.a. presentata il 09/07/2012.
Visti
il ricorso e i relativi allegati;
Visto
l'atto di costituzione in giudizio del Comune di Santa Maria Capua
Vetere;
Viste
le memorie difensive;
Visti
tutti gli atti della causa;
data
per letta nell'udienza pubblica del 5 giugno 2013 la relazione del
consigliere Paolo Corciulo e uditi per le parti i difensori come
specificato nel verbale;
Ritenuto
e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
e DIRITTO
In
data 18 settembre 2003 il Comune di Santa Maria Capua Vetere
rilasciava alla società L’Esperanza Immobiliare permesso di
costruire n. 104 per la realizzazione di un immobile d’interesse
collettivo destinato a servizi per la collettività nell’ambito
della “lottizzazione Sandulli”, sita alla Traversa di via
Giovanni Paolo I, (attualmente denominata Victoria Park).
Al
citato permesso di costruire facevano seguito le varianti n. 23 del
17 marzo 2005 e nn. 110/2007 e n. 53/2008.
In
data 24 luglio 2009, il Comune di Santa Maria Capua Vetere rilasciava
certificato di agibilità del fabbricato destinato a servizi per la
collettività, evidenziando che il piano rialzato consisteva in 8
locali commerciali, mentre il primo, secondo e terzo piano
contenevano i primi due 8 unità non residenziali ad uso ufficio, il
terzo 7 unità della medesima categoria.
In
data 4 novembre 2011 la società stipulava con la Kinetic Center
s.r.l. un contratto preliminare di vendita di due locali siti al
piano terra, previo cambio di categoria da uso commerciale C1 ad uso
ufficio A10.
A
tal fine, veniva dalla promissaria alienante presentata s.c.i.a. in
data 12 dicembre 2011, iniziativa riscontrata da provvedimento
inibitorio del Comune, recante il n. 0008945 del 1° marzo 2012, con
cui si evidenziava che “la destinazione d’uso del locale in
oggetto, sia quella esistente “commerciale”, sia quella richiesta
di “ufficio”, non rientrano tra le opere di urbanizzazione
primaria, destinazione per la quale è stato rilasciato il permesso
di costruire n. 23 del 17 marzo 2005 e successiva variante n. 53 del
30 aprile 2008”.
Il
provvedimento veniva annullato con sentenza di questa Sezione del 22
maggio 2012 n. 2361 per difetto di motivazione, questa essendo stata
ritenuta oltre che generica, anche oscura, con riferimento alla
rilevata eterogeneità tra la nozione di destinazione d’uso e
quella di opere di urbanizzazione primaria.
Passata
in giudicato la sentenza, poco prima della stipulazione del contratto
definitivo, la promissaria acquirente Kinetic Center s.r.l., ottenuta
la disponibilità degli immobili, in data 9 luglio 2012 presentava al
Comune di Santa Maria Capua Vetere s.c.i.a. avente ad oggetto “la
diversa distribuzione degli spazi interni dei locali senza
alterazione di volumi urbanistici, di superfici assentite, né
alterazioni o mutazioni dei prospetti esterni dello stabile”.
Con
provvedimento n. 0029563, notificato il 16 agosto 2012,
l’Amministrazione comunale intimava alla Kinetic Center s.r.l. di
non iniziare i lavori in quanto “la destinazione d’uso richiesta
ad uffici privati non rientra tra le opere di urbanizzazione, stante
la destinazione dell’immobile e dell’area su cui lo stesso
insiste.
Avverso
tale provvedimento ha proposto ricorso a questo Tribunale la Kinetic
Center s.r.l. chiedendone l’annullamento, previa concessione di
idonee misure cautelari, oltre al risarcimento dei danni.
Con
il primo motivo di impugnazione è stato lamentato che il
provvedimento inibitorio sarebbe stato notificato al dichiarante ben
oltre il termine perentorio di 30 giorni dalla presentazione della
dichiarazione, risalente al 9 luglio 2012, a nulla rilevando ai fini
della tempestività la data di adozione dello stesso (7 agosto 2012).
Con
la seconda censura è stato invece dedotto che il provvedimento
contestato si fonderebbe sull’erronea pretesa di mutamento della
destinazione d’uso dei locali oggetto di trattativa, modificazione
per nulla richiesta dalla ricorrente – avendo la s.c.i.a. de qua il
diverso oggetto concernente la distribuzione degli spazi interni –
in quanto già maturata per effetto della precedente s.c.i.a. del 12
dicembre 2011 su cui si sarebbe ormai formato il giudicato relativo
alla sentenza 22 maggio 2012 n. 2361; violazione del giudicato che
comunque costituirebbe causa di nullità ai sensi dell’art. 21
septies della legge 7 agosto 1990 n. 241;
Con
la terza censura è stato ancora evidenziato che la motivazione
sarebbe indeterminata, oltre che erronea, non essendo possibile
ricondurre la destinazione d’uso di un manufatto alle opere di
urbanizzazione primaria, come se vi fosse un rapporto di genus ad
speciem; inoltre, l’assunto posto a fondamento dell’inibitoria si
porrebbe in contrasto con il certificato di agibilità del fabbricato
rilasciato dal medesimo Comune di Santa Maria Capua Vetere.
In
quarto luogo, emergerebbe un profilo di contraddittorietà tra quanto
rilevato dal Comune nella nota n. 20610 del 15 giugno 2005, in cui si
assume che la destinazione ad uffici e ad uso commerciale non
rientrerebbe tra le opere di urbanizzazione primaria o secondarie ai
fini del pagamento del costo di costruzione e degli oneri di
urbanizzazione, e quanto invece ritenuto ai fini della s.c.i.a. per
cui è giudizio.
Infine,
l’Amministrazione non avrebbe potuto esprimersi in termini di
assentibilità dell’intervento oggetto della s.c.i.a., non essendo
configurabile alcun potere autorizzatorio in tal senso.
La
società ricorrente ha anche proposto azione per il risarcimento dei
danni subiti a seguito della mancata conclusione del contratto di
compravendita, rappresentando di aver stipulato un contratto di
leasing immobiliare in esecuzione del quale avrebbe versato l’importo
di €128.000 a titolo di canone anticipato iniziale.
Si
è costituito in giudizio il Comune di Santa Maria Capua Vetere,
concludendo per il rigetto del ricorso e della domanda cautelare.
La
difesa dell’ente ha preliminarmente eccepito l’inammissibilità
del ricorso per carenza di interesse, attesa la natura
endoprocedimentale della nota oggetto di impugnazione, trattandosi di
una mera comunicazione di avvio del procedimento.
All’udienza
del 5 giugno 2013, in vista della quale parte ricorrente ha
depositato una memoria conclusionale, la causa è stata trattenuta
per la decisione.
Va
preliminarmente respinta l’eccezione di inammissibilità del
ricorso per carenza di interesse, dal momento che l’atto gravato,
contenendo un’inibitoria ad iniziare i lavori, presenta senza
dubbio idonea capacità lesiva per la società ricorrente.
Nel
merito, comunque, il ricorso non è meritevole di accoglimento.
Con
riferimento al primo motivo di impugnazione, rileva il Collegio che
l’atto impugnato è da ritenersi legittimo dal punto di vista della
tempestività dell’esercizio del potere inibitorio. L’art. 19,
terzo comma della legge 7 agosto 1990 n. 241 e s.m.i. stabilisce che,
presentata la segnalazione certificata di inizio attività,
«l'amministrazione competente, in caso di accertata carenza dei
requisiti e dei presupposti di cui al comma 1, nel termine di
sessanta giorni dal ricevimento della segnalazione di cui al medesimo
comma (trenta giorni in materia edilizia ai sensi del comma 6 bis)
adotta motivati provvedimenti di divieto di prosecuzione
dell'attivita' e di rimozione degli eventuali effetti dannosi di
essa, salvo che, ove cio' sia possibile, l'interessato provveda a
conformare alla normativa vigente detta attivita' ed i suoi effetti
entro un termine fissato dall'amministrazione, in ogni caso non
inferiore a trenta giorni. E' fatto comunque salvo il potere
dell'amministrazione competente di assumere determinazioni in via di
autotutela, ai sensi degli articoli 21-quinquies e 21-nonies». Il
riferimento al termine “adozione” (presente anche nel comma
quarto della medesima disposizione) relativamente al provvedimento
inibitorio esclude che il legislatore abbia inteso qualificare tale
fattispecie come recettizia, nel senso di qualificare anche la fase
di comunicazione come suo elemento strutturale.
Va
rilevato come l’adempimento informativo sia piuttosto riconducibile
all’art. 21 bis, primo comma della medesima legge, secondo cui «il
provvedimento limitativo della sfera giuridica dei privati acquista
efficacia nei confronti di ciascun destinatario con la comunicazione
allo stesso effettuata anche nelle forme stabilite per la notifica
agli irreperibili nei casi previsti dal codice di procedura civile».
Non di elemento strutturale, ma di mera condizione di efficacia si
deve dunque parlare riguardo all’onere di comunicazione,
rivelandosi quella in esame una prescrizione per l’autorità meno
gravosa rispetto a quella decadenziale proposta dalla società
ricorrente; limitazione di efficacia che, tra l’altro, la stessa
disposizione di cui all’art. 21 bis intende addirittura recessiva
rispetto alle garanzie del privato nei casi in cui il provvedimento
inibitorio non avente carattere sanzionatorio – come nel caso della
s.c.i.a. - contenga una motivata clausola di immediata efficacia,
oppure abbia carattere cautelare ed urgente.
Passando
all’esame del secondo motivo di ricorso, rileva il Collegio che il
giudicato formatosi sulla sentenza di questa Sezione del 22 maggio
2012 n. 2361, di annullamento della nota n. 8945 del 1° marzo 2012
con la quale il Comune resistente aveva negata la possibilità del
cambio di destinazione d’uso dell’immobile per cui è giudizio,
non consente affatto di ritenere definitivamente acquisito tale
mutamento; invero, la ragione dell’annullamento in sede
giurisdizionale ha riguardato esclusivamente un vizio strutturale
dell’atto, in particolare l’insufficienza e l’inidoneità della
motivazione, esito processuale che non consente in alcun modo di
ritenere consumato in senso favorevole alla ricorrente il potere di
verifica e controllo di cui è titolare l’autorità ai sensi
dell’art. 19 della legge 7 agosto 1990 n. 241; invero,
spontaneamente o anche su iniziativa di parte in sede di esecuzione,
il Comune avrebbe dovuto dare esecuzione alla sentenza rinnovando
l’esercizio del potere entro il termine ordinario di legge
decorrente dalla comunicazione della decisione o dalla sua
notificazione, se anteriore; pertanto, nulla avrebbe potuto impedire
al Comune di Santa Maria Vetere di inibire l’attività oggetto
della s.c.i.a. presentata dalla società ricorrente a causa di una
destinazione d’uso dell’immobile non consentita dallo strumento
urbanistico generale vigente.
Nemmeno
fondata è la terza censura; invero, recita la nota impugnata che la
destinazione urbanistica dell’area interessata è di «opere di
interesse collettivo e che non vi è dubbio alcuno che ai sensi
dell’art. 3 del d.m. n. 1444/68 le attività collettive rientrano,
insieme agli spazi pubblici, al verde e/o parcheggi tra le aree
destinate a standard»; ritiene il Collegio che tale descrizione
rende efficacemente l’idea dell’amministrazione secondo cui la
destinazione urbanistica in atto di “opere di interesse collettivo”
finendo per confluire nelle opere di urbanizzazione, primaria, ai
sensi dell’art.9, comma 7 del d.p.r. 6 giugno 2001 n. 380, è
incompatibile con la destinazione ad uso ad uffici richiesta dalla
società ricorrente, che invece non rientra nella medesima categoria
di opere descritta dalla citata norma di settore; è comunque appena
il caso di aggiungere che le opere di interesse collettivo, a
prescindere dalla loro riconducibilità alle categorie di cui
all’art.16 del d.p.r. 6 giugno 2001 n. 380, non possono in linea
generale ritenersi assimilabili alla destinazione ad uso ufficio cui
aspira la società ricorrente.
Quanto
alla quarta censura, nessun profilo di contraddittorietà sussiste
nel comportamento dell’amministrazione comunale che ha ritenuto che
la destinazione d’uso dell’immobile fosse ad opere di
urbanizzazione sia ai fini dell’esonero dal pagamento degli oneri
di urbanizzazione e del costo di costruzione, sia dal punto di vista
dell’impossibilità di un suo mutamento.
Né
pregio ha l’ultima censura, dal momento che l’espressione di «non
assentibilità» delle opere, contenuta nella nota impugnata, lungi
dall’esprimere un diniego di autorizzazione, ha riguardato
l’incompatibilità tra la destinazione d’uso effettiva ed attuale
dell’immobile e l’oggetto della s.c.i.a. presentata dalla società
ricorrente; d’altronde, l’esercizio del potere inibitorio
contemplato dalla legge è stato propriamente riferito alla diffida
all’intrapresa delle opere.
Al
rigetto del ricorso segue anche l’infondatezza della domanda
risarcitoria.
Le
spese seguono la soccombenza con condanna della società ricorrente
al relativo pagamento in favore dell’amministrazione resistente
nella misura di €2.500,00(duemilacinquecento/00).
P.Q.M.
Il
Tribunale Amministrativo Regionale della Campania (Sezione Ottava)
definitivamente
pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge e
condanna la società ricorrente al pagamento delle spese processuali
in favore dell’amministrazione resistente nella misura di
€2.500,00(duemilacinquecento/00).
Ordina
che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così
deciso in Napoli nella camera di consiglio del giorno 5 giugno 2013
con l'intervento dei magistrati:
Antonino
Savo Amodio, Presidente
Paolo
Corciulo, Consigliere, Estensore
Renata
Emma Ianigro, Consigliere