C'è una dura presa di posizione del Csm contro alcune delle norme del ddl di riforma del processo penale, considerate a rischio di incostituzionalità. Come quelle che regolano la possibilità di ricusare un giudice in un processo o quelle che modificano il rapporto tra polizia giudiziaria e pm, contenute nel disegno di riforma del processo penale allo studio della commissione Giustizia del Senato e oggetto di parere da parte della Sesta commissione di Palazzo dei Marescialli, che domani lo sottoporrà al plenum.
Secondo quanto scrivono i consiglieri, la formulazione attuale del ddl prevede che si possa ricusare un giudice o che questi sia obbligato ad astenersi dal giudizio per "gravi ragioni", che "possono essere anche 'rappresentate da giudizi espressi fuori dall'esercizio delle funzioni giudiziarie, nei confronti delle parti del procedimento e tali da provocare fondato motivo di pregiudizio all'imparzialità del giudice'". In buona sostanza, secondo quanto scritto nella norma "il giudice deve accostarsi non solo all'oggetto ma anche ai soggetti del processo, senza essersi formato sugli stessi alcuna opinione e senza averla trasfusa, rispettivamente, in pareri o consigli e giudizi che potrebbero pregiudicare la sua imprescindibile posizione di imparzialità". "La funzione di questa norma - scrivono i consiglieri del Csm - è all'evidenza quella di limitare la possibilità dei magistrati di esprimere, individualmente o collettivamente, opinioni o posizioni in merito a condotte di pubblico interesse, ancorché estranee alle questioni dedotte in giudizio. Ciò si presta ad alcuni rilievi".
In particolare la nuova norma vuole "affermare che i giudizi, critici o adesivi, nei confronti dell'operato di una parte processuale o di un difensore possono rappresentare, di per sé, un sintomo di pregiudizio con riferimento alla trattazione di un procedimento nel quale è coinvolto uno dei soggetti predetti, significa porre un serio limite alla manifestazione del pensiero del giudice, in aperto contrasto con il dictum della sentenza n. 100 del 1981 della Corte costituzionale secondo cui 'il diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero non tollera limiti soggettivi e compete quindi anche ai magistrati, ai quali non può essere inibito di esprimere le proprie opinioni, di consenso o dissenso, sulle vicende che interessano l'attività giudiziaria e sui provvedimenti legislativi in elaborazione che incidono sul funzionamento della giustizia'".
Ma c'è di più. "La circostanza che vi siano state dichiarazioni di magistrati improvvide, sgradevoli, prive della misura e dello stile che invece dovrebbero comunque avere - si legge nel parere approvato in prima battuta dalla Commissione del Csm - non autorizza una previsione generalizzata di uno strumento che incide sulla individuazione del giudice predeterminato per legge (art. 25 Cost.). La necessità di trovare un giusto equilibrio tra diverse e contrapposte esigenze - è scritto ancora nel documento - non può legittimare la creazione di un meccanismo che, sulla base delle apparenze, incide sulla compatibilità del giudice sovrapponendo il piano delle espressioni del pensiero a questioni relative alla capacità del giudice di esaminare e decidere su condotte individuali".
"Una tale dilatazione del concetto di imparzialità - spiegano i consiglieri - sembra dettata da un presupposto, non dimostrato ed erroneo, in virtù del quale i magistrati non sarebbero in grado di distinguere la valutazione delle idee dall'esame e dal giudizio sui fatti e sulle condotte loro sottoposti in osservanza del dettato normativo. Tale presupposto, che ha tutti i connotati del pregiudizio, altera la cognizione del problema e rischia di far assumere al concetto di imparzialità un significato indefinito in grado di scardinare, senza ragione, un gran numero di processi".
"L'imparzialità del giudice - concludono quindi i consiglieri del Csm - è un principio cardine del sistema: è per il giudice l'essenza stessa del decidere. Il giudice deve essere estraneo e terzo rispetto al processo e non deve avere interessi diretti che possano essere condizionati dalla decisione. Egli è tenuto ad osservare la più rigorosa imparzialità nel decidere, ma ciò non vuol dire che egli non abbia diritto ad avere e a manifestare opinioni nel dibattito culturale e sociale".
"Ma le ipotesi di incompatibilità del giudice sono regolate dal principio di legalità, che non consente di far ricorso a criteri indeterminati, soprattutto in presenza di una norma che già prevede, fra le cause di astensione, l'inimicizia grave. Ne consegue - sostiene la Commissione del Csm - che, laddove i giudizi sulle parti non siano sintomo di inimicizia personale ma si caratterizzino semplicemente come valutazioni sulle opinioni o sulle posizioni assunte, non si giustifica una nuova ipotesi di astensione".
Secondo quanto scrivono i consiglieri, la formulazione attuale del ddl prevede che si possa ricusare un giudice o che questi sia obbligato ad astenersi dal giudizio per "gravi ragioni", che "possono essere anche 'rappresentate da giudizi espressi fuori dall'esercizio delle funzioni giudiziarie, nei confronti delle parti del procedimento e tali da provocare fondato motivo di pregiudizio all'imparzialità del giudice'". In buona sostanza, secondo quanto scritto nella norma "il giudice deve accostarsi non solo all'oggetto ma anche ai soggetti del processo, senza essersi formato sugli stessi alcuna opinione e senza averla trasfusa, rispettivamente, in pareri o consigli e giudizi che potrebbero pregiudicare la sua imprescindibile posizione di imparzialità". "La funzione di questa norma - scrivono i consiglieri del Csm - è all'evidenza quella di limitare la possibilità dei magistrati di esprimere, individualmente o collettivamente, opinioni o posizioni in merito a condotte di pubblico interesse, ancorché estranee alle questioni dedotte in giudizio. Ciò si presta ad alcuni rilievi".
In particolare la nuova norma vuole "affermare che i giudizi, critici o adesivi, nei confronti dell'operato di una parte processuale o di un difensore possono rappresentare, di per sé, un sintomo di pregiudizio con riferimento alla trattazione di un procedimento nel quale è coinvolto uno dei soggetti predetti, significa porre un serio limite alla manifestazione del pensiero del giudice, in aperto contrasto con il dictum della sentenza n. 100 del 1981 della Corte costituzionale secondo cui 'il diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero non tollera limiti soggettivi e compete quindi anche ai magistrati, ai quali non può essere inibito di esprimere le proprie opinioni, di consenso o dissenso, sulle vicende che interessano l'attività giudiziaria e sui provvedimenti legislativi in elaborazione che incidono sul funzionamento della giustizia'".
Ma c'è di più. "La circostanza che vi siano state dichiarazioni di magistrati improvvide, sgradevoli, prive della misura e dello stile che invece dovrebbero comunque avere - si legge nel parere approvato in prima battuta dalla Commissione del Csm - non autorizza una previsione generalizzata di uno strumento che incide sulla individuazione del giudice predeterminato per legge (art. 25 Cost.). La necessità di trovare un giusto equilibrio tra diverse e contrapposte esigenze - è scritto ancora nel documento - non può legittimare la creazione di un meccanismo che, sulla base delle apparenze, incide sulla compatibilità del giudice sovrapponendo il piano delle espressioni del pensiero a questioni relative alla capacità del giudice di esaminare e decidere su condotte individuali".
"Una tale dilatazione del concetto di imparzialità - spiegano i consiglieri - sembra dettata da un presupposto, non dimostrato ed erroneo, in virtù del quale i magistrati non sarebbero in grado di distinguere la valutazione delle idee dall'esame e dal giudizio sui fatti e sulle condotte loro sottoposti in osservanza del dettato normativo. Tale presupposto, che ha tutti i connotati del pregiudizio, altera la cognizione del problema e rischia di far assumere al concetto di imparzialità un significato indefinito in grado di scardinare, senza ragione, un gran numero di processi".
"L'imparzialità del giudice - concludono quindi i consiglieri del Csm - è un principio cardine del sistema: è per il giudice l'essenza stessa del decidere. Il giudice deve essere estraneo e terzo rispetto al processo e non deve avere interessi diretti che possano essere condizionati dalla decisione. Egli è tenuto ad osservare la più rigorosa imparzialità nel decidere, ma ciò non vuol dire che egli non abbia diritto ad avere e a manifestare opinioni nel dibattito culturale e sociale".
"Ma le ipotesi di incompatibilità del giudice sono regolate dal principio di legalità, che non consente di far ricorso a criteri indeterminati, soprattutto in presenza di una norma che già prevede, fra le cause di astensione, l'inimicizia grave. Ne consegue - sostiene la Commissione del Csm - che, laddove i giudizi sulle parti non siano sintomo di inimicizia personale ma si caratterizzino semplicemente come valutazioni sulle opinioni o sulle posizioni assunte, non si giustifica una nuova ipotesi di astensione".