La Rete fornisce accessi preziosi alla politica, inedite possibilità individuali di espressione e di intervento politico e anche stimoli all'aggregazione e manifestazione di consensi e di dissensi. Ma non c'è partecipazione realmente democratica, rappresentativa ed efficace alla formazione delle decisioni pubbliche senza il tramite di partiti capaci di rinnovarsi o di movimenti politici organizzati, tutti comunque da vincolare all'imperativo costituzionale del "metodo democratico".

DALLO STRALCIO DEL MESSAGGIO DEL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA GIORGIO NAPOLITANO
ROMA 22 APRILE 2013


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lunedì 27 aprile 2015

GOVERNARE LA CRISI. RIFIUTARE I SUSSIDI. RICONVERTIRE IL MANUFATTURIERO ATTRAVERSO INNOVAZIONE E QUALITÀ


Riccardo van den Hende, Imprenditore e Amministratore di Decom srl

Il Piano industriale presentato dalla Whirpool e la chiusura della produzione degli stabilimenti italiani di Carinola e Teverola, sono come ‘cronaca di una morte annunciata’. E già da molto tempo.

In quanto imprenditore del Distretto dell’Elettrodomestico, fornitore della Indesit da 35 anni, non mi sorprendo del nuovo piano industriale Indesit-Whirpool perché mi sembra che approfitti della mancanza di un piano complessivo e di una visione strategica che sarebbe necessaria a tracciare nuove traiettorie di sviluppo. Il caso Indesit-Whirpool dimostra che le politiche di sviluppo non possono essere affidate a investimenti isolati e all’iniziativa di questo o quel gruppo industriale-finanziario. Ad ogni nuova fase economica, c’è bisogno di pensare ai nuovi investimenti come ad una delle risorse di un ricco sistema economico e territoriale  nel quale i diversi attori devono attivarsi in maniera responsabile e virtuosa per una crescita ‘di sistema’. In questo senso una ‘regia’ istituzionale è sempre opportuna e auspicabile. È ciò di cui si ha maggior necessità in questo momento. Una regia istituzionale capace di un coordinamento autorevole e competente.

Nello specifico, come componente del Distretto dell’Elettrodomestico, ho provato a sollecitare istituzioni e mondo imprenditoriale (aziende dell’indotto con oltre 500 addetti e dipendenti) perché si potesse lavorare insieme a programmare e realizzare una seria riconversione del Distretto. Non ho trovato ancora interlocutori ma solo ‘posizioni’ da conservare e da proteggere. O, peggio ancora, nemici da combattere. Mi sembra troppo poco e inutile. La strategia che va messa in campo è un’altra. Conosco il Distretto e le sue potenzialità. Conosco i problemi e le resistenze. Ma credo si possa cogliere questa come un’opportunità per fare scelte decise, in direzione di un manufatturiero ad alto valore aggiunto che sappia andare verso la valorizzazione delle conoscenze (depositate anche in tanti brevetti e risultati di ricerca applicata) e la riqualificazione delle risorse umane motivate a mettersi in gioco. Una riqualificazione  significativa  che chieda a tutti gli attori del sistema di muoversi e tracciare nuove strade percorribili senza ricorrere a forme assistenziali, diseconomiche per la comunità e mortificanti per chi le deve subire. Una riqualificazione che diventi vera e propria riconversione, nel segno dell’innovazione. Per questo formazione e riqualificazione sono due pilastri indispensabili sui quali fondare una nuova economia, un nuovo sviluppo. Non c’è bisogno di Leggi speciali ma di utilizzare al meglio gli strumenti e le istituzioni già esistenti, coordinandole in un piano generale di sviluppo locale.

Ritengo che questa sia anche l’occasione per altri di tornare con orgoglio e con le competenze giuste a mestieri e attività legate all’agroalimentare e alle preziose ‘eccellenze’ targate ‘Campania felix’ e Terra di Lavoro, in un’ottica di sviluppo e di emersione di tanto sommerso. Persone, territorio, saperi e competenze sono le parole-chiave della riconversione cui sto pensando e che credo possibile  realizzare. Nell’ottica di una politica economica finalmente capace di promuovere sviluppo e di attivare e far convergere tutte le azioni necessarie ad un processo eminentemente sociale e culturale.

L’attenzione che negli ultimi due giorni si è riaccesa intorno alla vicenda Indesit-Whirpool mi sembra tutta orientata solo ad attivare dispositivi di carattere assistenziale. Non si cercano soluzioni proattive. Governo, Sindacati, Impresa e piccole Imprese dell’indotto, alimentano una contrapposizione che non ha un progetto, né crede di doverlo cercare. Ma le aziende che hanno chiuso perché hanno delocalizzato la loro produzione in altri paesi sono tante, e tante le ragioni. Come tante quelle che hanno chiuso tra silenzio e indifferenza di molti. Ma a questo fenomeno si può rispondere con una condivisa e intelligente pianificazione per riconvertire interi impianti e attività produttive, promuovendo la nascita di nuove imprese e coltivando una nuova cultura del lavoro e dell’impresa. Penso a imprese ‘smart’, capaci di cogliere le sfide del mercato e soprattutto di orientarne le scelte verso beni e servizi di qualità che contribuiscano a far crescere settori strategici come il patrimonio artistico e culturale. 

La responsabilità sociale e politica di tutti gli attori del sistema penso possa dare a ciascuno lo spazio per ‘fare di necessità virtù’ e quindi per cogliere nella crisi la necessità ma anche l’opportunità per riconfigurarsi e ricostruirsi, o ristrutturarsi, in una logica produttiva e propulsiva. In questo senso credo sia possibile governare la crisi attivando le risorse e gli strumenti più efficaci a generare il cambiamento necessario. Per non vanificare gli investimenti fatti. Per non dissolvere un patrimonio di saperi, competenze e tecnologie. Per non abbandonare interi insediamenti industriali e inserirli in nuova urgente pianificazione delle aree urbane ed extraurbane. Per rifiutare il paradigma del sussidio e credere nel valore identitario del lavoro e dell’attività produttiva. Per un rilancio, quindi, del manifatturiero e della produzione industriale che trovi il tempo per compiersi grazie a una significativa politica che parta dai territori.

Per questo il mio richiamo è al Governo e ai rappresentanti delle Istituzioni territoriali e soprattutto agli imprenditori, perché si lavori insieme, ciascuno assumendosi le proprie responsabilità e riqualificando il ruolo e il senso della classe dirigente. Perché da imprenditore credo nella necessità di fare spazio a imprenditori illuminati, giovani e meno giovani, che, capaci di riconoscere il vuoto delle grandi associazioni di categoria, facciano emergere un’altra volontà: quella di muoversi nel solco della responsabilità sociale e del valore pubblico, politico cioè, delle proprie scelte il cui fine ultimo sia orientato, anche da Leggi e politiche efficaci, al bene comune.



                                                                                                                       Riccardo van den Hende