Riccardo van den Hende, Imprenditore
e Amministratore di Decom srl
Il Piano industriale
presentato dalla Whirpool e la chiusura della produzione degli stabilimenti
italiani di Carinola e Teverola, sono come ‘cronaca di una morte annunciata’. E
già da molto tempo.
In quanto imprenditore
del Distretto dell’Elettrodomestico, fornitore della Indesit da 35 anni, non mi
sorprendo del nuovo piano industriale Indesit-Whirpool perché mi sembra che
approfitti della mancanza di un piano complessivo e di una visione strategica
che sarebbe necessaria a tracciare nuove traiettorie di sviluppo. Il caso
Indesit-Whirpool dimostra che le politiche di sviluppo non possono essere
affidate a investimenti isolati e all’iniziativa di questo o quel gruppo
industriale-finanziario. Ad ogni nuova fase economica, c’è bisogno di pensare
ai nuovi investimenti come ad una delle risorse di un ricco sistema economico e
territoriale nel quale i diversi attori
devono attivarsi in maniera responsabile e virtuosa per una crescita ‘di
sistema’. In questo senso una ‘regia’ istituzionale è sempre opportuna e
auspicabile. È ciò di cui si ha maggior necessità in questo momento. Una regia
istituzionale capace di un coordinamento autorevole e competente.
Nello specifico, come
componente del Distretto dell’Elettrodomestico, ho provato a sollecitare
istituzioni e mondo imprenditoriale (aziende dell’indotto con oltre 500 addetti
e dipendenti) perché si potesse lavorare insieme a programmare e realizzare una
seria riconversione del Distretto. Non ho trovato ancora interlocutori ma solo
‘posizioni’ da conservare e da proteggere. O, peggio ancora, nemici da
combattere. Mi sembra troppo poco e inutile. La strategia che va messa in campo
è un’altra. Conosco il Distretto e le sue potenzialità. Conosco i problemi e le
resistenze. Ma credo si possa cogliere questa come un’opportunità per fare
scelte decise, in direzione di un manufatturiero ad alto valore aggiunto che
sappia andare verso la valorizzazione delle conoscenze (depositate anche in
tanti brevetti e risultati di ricerca applicata) e la riqualificazione delle
risorse umane motivate a mettersi in gioco. Una riqualificazione significativa
che chieda a tutti gli attori del sistema di muoversi e tracciare nuove
strade percorribili senza ricorrere a forme assistenziali, diseconomiche per la
comunità e mortificanti per chi le deve subire. Una riqualificazione che
diventi vera e propria riconversione, nel segno dell’innovazione. Per questo
formazione e riqualificazione sono due pilastri indispensabili sui quali
fondare una nuova economia, un nuovo sviluppo. Non c’è bisogno di Leggi
speciali ma di utilizzare al meglio gli strumenti e le istituzioni già esistenti,
coordinandole in un piano generale di sviluppo locale.
Ritengo che questa sia
anche l’occasione per altri di tornare con orgoglio e con le competenze giuste
a mestieri e attività legate all’agroalimentare e alle preziose ‘eccellenze’
targate ‘Campania felix’ e Terra di Lavoro, in un’ottica di sviluppo e di
emersione di tanto sommerso. Persone, territorio, saperi e competenze sono le
parole-chiave della riconversione cui sto pensando e che credo possibile realizzare. Nell’ottica di una politica economica
finalmente capace di promuovere sviluppo e di attivare e far convergere tutte
le azioni necessarie ad un processo eminentemente sociale e culturale.
L’attenzione che negli
ultimi due giorni si è riaccesa intorno alla vicenda Indesit-Whirpool mi sembra
tutta orientata solo ad attivare dispositivi di carattere assistenziale. Non si
cercano soluzioni proattive. Governo, Sindacati, Impresa e piccole Imprese
dell’indotto, alimentano una contrapposizione che non ha un progetto, né crede
di doverlo cercare. Ma le aziende che hanno chiuso perché hanno delocalizzato
la loro produzione in altri paesi sono tante, e tante le ragioni. Come tante
quelle che hanno chiuso tra silenzio e indifferenza di molti. Ma a questo
fenomeno si può rispondere con una condivisa e intelligente pianificazione per
riconvertire interi impianti e attività produttive, promuovendo la nascita di
nuove imprese e coltivando una nuova cultura del lavoro e dell’impresa. Penso a
imprese ‘smart’, capaci di cogliere le sfide del mercato e soprattutto di
orientarne le scelte verso beni e servizi di qualità che contribuiscano a far
crescere settori strategici come il patrimonio artistico e culturale.
La responsabilità
sociale e politica di tutti gli attori del sistema penso possa dare a ciascuno
lo spazio per ‘fare di necessità virtù’ e quindi per cogliere nella crisi la
necessità ma anche l’opportunità per riconfigurarsi e ricostruirsi, o
ristrutturarsi, in una logica produttiva e propulsiva. In questo senso credo
sia possibile governare la crisi attivando le risorse e gli strumenti più
efficaci a generare il cambiamento necessario. Per non vanificare gli
investimenti fatti. Per non dissolvere un patrimonio di saperi, competenze e
tecnologie. Per non abbandonare interi insediamenti industriali e inserirli in
nuova urgente pianificazione delle aree urbane ed extraurbane. Per rifiutare il
paradigma del sussidio e credere nel valore identitario del lavoro e
dell’attività produttiva. Per un rilancio, quindi, del manifatturiero e della
produzione industriale che trovi il tempo per compiersi grazie a una
significativa politica che parta dai territori.
Per questo il mio
richiamo è al Governo e ai rappresentanti delle Istituzioni territoriali e
soprattutto agli imprenditori, perché si lavori insieme, ciascuno assumendosi
le proprie responsabilità e riqualificando il ruolo e il senso della classe
dirigente. Perché da imprenditore credo nella necessità di fare spazio a
imprenditori illuminati, giovani e meno giovani, che, capaci di riconoscere il
vuoto delle grandi associazioni di categoria, facciano emergere un’altra
volontà: quella di muoversi nel solco della responsabilità sociale e del valore
pubblico, politico cioè, delle proprie scelte il cui fine ultimo sia orientato,
anche da Leggi e politiche efficaci, al bene comune.
Riccardo van den Hende