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DALLO STRALCIO DEL MESSAGGIO DEL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA GIORGIO NAPOLITANO
ROMA 22 APRILE 2013


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giovedì 24 marzo 2011

ESCLUSIVA NAZIONALE - IL PROFESSOR CARLO TAORMINA SCHERZA SULLA SUA MALATTIA CHE LO VEDE RISUSCITARE .

Gentimente offerta da Giacomo Amadori  giornalista del settimanale Panorama

Aeroporto di Fiumicino ore 21 di un giorno di marzo. Squilla il telefono: «Amadori? Volevo comunicarle che negli ambienti giudiziari gira la voce che sono morto. Vorrei smentirla». L’avvocato Carlo Taormina, 70 anni, affronta l’argomento così. Di punta, alla sua maniera. La voce è pimpante e vivissima. Si capisce benissimo che proviene dall’aldiquà. Taormina coglie lo stupore del cronista: «Lo sa che un anno fa ho scoperto di avere un tumore e che mi avevano dato 4 mesi di vita? Ah non lo sa? Allora, se ha tempo, le racconto la mia battaglia, vinta, contro il cancro». Il risultato è questa intervista con il fu Carlo Taormina, siciliano come Mattia Pascal, un colloquio scevro da autocommiserazioni o sentimentalismi («Durante la malattia persino l’affetto dei miei due figli mi ha un po’ imbarazzato, non sopporto le smancerie»), ma venato di humor nero.

Professore che cosa succede?

In troppi mi danno per morto. Decine di politici e avvocati chiamano in studio e chiedono di me, senza avere nulla da dirmi. In realtà vogliono solo sincerarsi che io sia defunto per davvero.

In che senso?

La notizia gira. In udienza i magistrati mi guardano con curiosità. E quando inizio l’arringa lo sguardo compassionevole si traduce in delusione. Pensano: è sempre lo stesso stronzo. Nel mio ambiente la mia fine era data per certa. Pensi che recentemente ho incontrato un collega che ha sgranato gli occhi come davanti a un fantasma. Poi mi ha chiesto: ma lei è il sosia dell’avvocato Taormina? Gli ho risposto: no scusa, sono proprio io. E lui di rimando mi ha detto che pochi giorni prima a una cena un gruppo di avvocati gli aveva annunciato la mia morte.

Che la sua segretaria ora deve smentire.

Chiamano parlamentari di centrodestra e di centrosinistra. I più compiaciuti per la mia dipartita sono i miei ex colleghi di partito, quelli del Pdl. Purtroppo devo dargli questo dispiacere.

Lei è l’uomo che visse due volte…

Ho potuto vedere come saranno la mia morte e il mio funerale. E ho capito che darà grande soddisfazione a molti. Quasi a tutti. Ne ho dovuto prendere atto. Della malattia e della mia presunta fine non è fregato a nessuno. A fianco mi sono rimasti solo mia moglie (per fortuna non l’ho mai tradita) e i miei figli. Ma in fondo non ho bisogno di altri. Basta saperlo.

Ha detto che ha immaginato il suo funerale.

Certo. L’ho dovuto preparare. Ho intuito che non sarebbe venuto nessuno e per questo ho deciso che avrei fatto una cosa in famiglia. Non potevo rischiare una cerimonia deserta: avrebbe dato ragione a chi dice che sono un rompicoglioni. Quindi niente funerale (sorride).

Ha fatto testamento?

A quello avevo già pensato. Mia moglie è la mia esecutrice testamentaria.

Nonostante lei sia un morto vivente, la trovo meglio di come l’avevo lasciata.

Ho fatto i controlli pochi giorni fa. Sono perfettamente guarito. Mi sento più in forma di prima (ci pensa un attimo). Aspetti, non è che così me la chiamo? (sorride di nuovo, è di ottimo umore)

Essere tornato tra i vivi che effetto le fa?

Non è male. Molte persone hanno cambiato atteggiamento nei miei confronti. Per esempio il presidente del tribunale della libertà di Roma, per anni mio fiero avversario, l’altro giorno è stato gentilissimo. L’ho incontrato per chiedergli di un’udienza, mi ha fatto sedere, mi ha offerto da bere, mi ha detto di non preoccuparmi di queste cose e ha concluso: «L’importante è la salute». Ho pensato che in fondo fare il malato ha anche i suoi vantaggi e sono stato tentato di marciarci un po’. Ma non è nel mio carattere.

Ecco, il suo carattere. È proverbiale la sua irruenza, la sua intemperanza…

Le devo dire la verità: questa malattia mi ha cambiato. Sono diventato più buono (sogghigna), Sia chiaro, mi arrabbio sempre, è successo anche poco fa, ma sono più attento alle ragioni degli altri. Adesso non è più solo mia moglie a preoccuparsi di chi ci sta intorno. Ora ci penso anche io. (attimo di pausa). Certo non so quanto durerà. Magari tra un anno tornerò quello di prima (ride).

Dopo questa esperienza ha chiesto scusa a qualcuno, ha recuperato qualche rapporto?

Le do una notizia. Mi sono chiarito con quello che veniva considerato il mio grande nemico: il generale dei carabinieri Luciano Garofano, con cui mi ero scontrato ai tempi dell’inchiesta su Annamaria Franzoni.

Lei nel 2008 lo ha denunciato per truffa e lo ha fatto indagare. Garofano ha lasciato i carabinieri…

Ho capito che qualunque cosa abbia fatto, ha agito in buona fede e nell’interesse della collettività. Comunque ho chiesto di incontrarlo. Io, fossi stato al suo posto, non avrei accettato. Lui invece ha accolto il mio invito. E una ventina di giorni fa, nel mio studio, ci siamo chiariti.

Altri rapporti ricuciti.

In verità nessun altro.

Si è pentito di alcune delle sue difese più contestate? Per esempio quella del boia delle fosse Ardeatine l’ufficiale delle Ss Erich Priebke? O di aver difeso gli alti ufficiali dell’aeronautica coinvolti nel processo di Ustica o il boss della Sacra Corona unita Francesco Prudentino?

Nooo! Quello è lavoro. Non mi sono pentito di nessuna difesa.

Racconti la malattia.

Il 24 gennaio dell’anno scorso mi trovo a Bologna per una riunione politica del nuovo partito che ho fondato, Lega Italia. Quel pomeriggio, essendo goloso, mangio una trentina di caramelle gommose. La notte mi sveglio con dolori lancinanti al basso ventre. Do la colpa a quei dolcetti e non mi allarmo. Non ci penso proprio a farmi visitare. Anche perché non sono mai andato da un medico.

In che senso?

Sino all’anno scorso non mi ero mai fatto vedere da un dottore, né avevo fatto esami. Ero sicuro che un medico mi avrebbe toccato solo sul tavolo dell’autopsia.

E dunque.

Visto che i dolori continuano, il lunedì, su insistenza di mia moglie, vado all’ospedale di Anagni, vicino alla nostra casa di campagna. Senza farmi sapere niente lei chiede di misurarmi anche il psa, l’indicatore che segnala il tumore alla prostata. Quando arrivano i risultati il medico trasale: il dato normale va da 0 a 4, io ho 300. Faccio sempre le cose in grande io (si compiace). Vado a farmi visitare urgentemente da un professore di Roma, uno dei più famosi. Dopo la visita mi chiede se può parlare sinceramente. Gli rispondo di sì. Mi spiega, senza giri di parole, che il tumore è fuori capsula, che ha intaccato i linfonodi e che mi restano 4-5 mesi di vita. Mi chiede con un ghigno sadico se sono favorevole alla terapia del dolore e all’accanimento terapeutico in punto di morte. Il suo sguardo e la sua voce mi trasmettono un senso di compiacimento. È come se mi dicesse: caro Taormina lei sta morendo e ben le sta. Esco dallo studio senza speranza.

Immagino in preda allo sconforto…

No, dovevo fottere anche il mio ultimo nemico. Mentre sono in macchina per tornare a casa, ripensando al tono soddisfatto di quel professorone, chiamo un amico specialista e gli chiedo di darmi un giudizio sull’uomo che aveva sentenziato la mia morte. Mi aspetto che lo denigri. Invece mi dice che è il migliore, il più professionale. Mi preoccupo. Forse è davvero è finita.

Almeno a questo punto sarà stato colto dalla depressione?

No. Continuo a fare la mia vita, ad andare in aula, all’università. Ma quando sono in casa o in studio, da solo, comincio ad affrontare l’idea della mia fine per provare ad accettarla, in modo razionale. Penso: tutto sommato sono stato un uomo fortunato, ho avuto ciò che desideravo, c’è gente che muore molto prima di me, alla mia famiglia non lascio debiti, ma anzi qualche sostanza. Il bilancio è soddisfacente. Concludo: sono pronto a morire (il tono è molto serio). Prego solo di farlo nel sonno perché ho paura di soffrire.

Per questo che soluzione trova?

Se il dolore fosse diventato insopportabile mi sarei sparato un colpo di rivoltella.

Ha una pistola?

No. Ma non mi sarebbe difficile trovarla (sorride sibillino)

Quindi, lei che ha denunciato per omicidio volontario Peppino Englaro, il papà di Eluana, è diventato favorevole all’eutanasia?

Nooo! Resto della mia idea. Ognuno deve decidere per sé. Non può essere qualcun altro a toglierti la vita.

Ma se uno non è in grado di uccidersi…

Non era il mio caso e non penso che per certe decisioni ci si possa affidare ad altri. Punto.

Torniamo alla malattia.

Dopo la sentenza di morte del professorone di Roma, mia moglie, che, come me, ha combattuto con successo contro un cancro, chiama uno dei massimi esperti di tumore alla prostata, il professor Patrizio Rigatti del San Raffaele di Milano. Il giorno dopo lui è nella Capitale per una consulenza al ministero della sanità. I due si incontrano in un bar riconoscendosi dalla descrizione dei vestiti. Dopo pochi minuti Rigatti mi raggiunge nel mio studio per la visita. Vede le analisi e mi dice che il collega di Roma ha ragione e che il mio tumore ha un’aggressività di 9 su una scala di dieci punti. Rimugino: ma questo è venuto da Milano per ripetermi le stesse cose di quell’altro menagramo?

Dunque nemmeno lui le lascia speranze?

Mi dice di fare una scintigrafia per verificare se il tumore abbia intaccato le ossa. In quel caso sarei stato inoperabile. Mi avverte anche che con il psa a 300 la possibilità che il mio midollo osseo contenga cellule tumorali è ben più di un ipotesi. Forse una certezza. Non mi scompongo. Tanto ormai convivo bene con la mia morte.

E allora che fa?

Vado subito a Tor Vergata a fare l’esame. E qui forse, avviene un piccolo miracolo.

In che senso?

Mentre ero in ospedale, mia moglie, molto credente, va a pregare nella cappella dell’istituto davanti a un’immagine di papa Giovanni Paolo II. Poi mi raggiunge e mi dice che è certa che andrà tutto bene. La scintigrafia conferma che le ossa sono a posto.

Professore, lei, così razionale, crede ai miracoli?

Dico solo che ho parlato di questa cosa con padre Vittorio Trani, il cappellano del carcere di Regina Coeli, che lo ha riferito al Vaticano. E presto dovrei essere ascoltato come eventuale testimone all’interno del processo di beatificazione di papa Wojtyla. Spero che chi lo deve fare santo, ora non ci ripensi (sorride compiaciuto).

L’11 febbraio 2010 lei viene operato.

Il giorno prima lo passo a firmare moduli per il consenso informato: morte possibile sotto i ferri, ano artificiale, vescica sintetica (storce la bocca). Mi rasano dal petto alle gambe come una signorina. Dubito che ne valga la pena. L’intervento dura 10 ore. E, forse, la mano di Rigatti è guidata dal Padreterno. Quando esco mi spiegano che mi hanno tolto una massa tumorale di un chilo e 60 linfonodi (di cui trenta infetti). Penso: chissenefrega basta che non siano più dentro di me. I dolori per i tagli sono terribili, devo usare il catetere per 23 giorni. Non riesco a chiudere occhio. E potrebbe non servire a niente.

In che senso?

Non sono sicuro di guarire. E un giorno, visti i dolori, il medico mi offre la morfina. E no, rispondo, quella la dia a chi sta morendo. Una notte però accetto di assumerla e mi anestetizza la parte operata. Mi dicono che è un buon segno, perché la morfina addormenta tutto il corpo solo quando il tumore è in circolo.

Quindi a marzo lei lascia finalmente l’ospedale…

Ma non è ancora finita, devo fare radioterapia per tre mesi. Mi tormentano continui conati di vomito, spossatezza, totale mancanza di appetito. E in quelle condizioni faccio il pendolare tra Roma e Milano. Sono sicuro di non farcela.

In quei giorni come si comporta?

Inizio a scrivere alcune lettere a pochi amici. È una richiesta di aiuto e di vicinanza. Qualcuno risponde altri no.

Chi non lo fa, per esempio?

Questo preferisco tenerlo per me. Diciamo che qualcuno mi ha deluso.

Ma quando termina le cure e capisce di essersi salvato?

Nell’autunno scorso. Solo allora ho ricominciato a rompere i coglioni al prossimo.

Il fu Carlo Taormina si è ripreso la scena.

Per questo ora voglio far sapere a tutti che sono vivo e in perfetta forma, per dare una delusione a quei colleghi sciacalli che hanno brindato alla mia morte pensando di spartirsi i miei clienti e il mio fatturato.

Davvero lei pensa che sia successo questo?

Eccome! Anche all’università si era già scatenata la corsa alla mia successione. Ma su quella sedia per ora resto seduto io, cari colleghi. Con questa guarigione li ho proprio fottuti tutti!