TRIBUNALE DI SANTA MARIA CAPUA VETERE
- III Sezione Civile -
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Il giudice
letti gli atti del procedimento n. 10771 del R.G. dell’anno 2019;
sciogliendo la riserva formulata in udienza CARTOLARE;
letti gli atti, le memorie autorizzate e le note per l’udienza
cartolare;
OSSERVA
I ricorrenti, meglio generalizzati in atti, tutti agendo nella
qualità di avvocati
del Foro di Santa Maria Capua Vetere nonché
componenti (eccezion fatta
per i signori avvocati Giuseppe Tamburrino e
Laura Tramontano) del
Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Santa
Maria Capua Vetere hanno
adito in sede cautelare ex art. 700 cpc il
Tribunale chiedendo l’emanazione
di una pronuncia che, rilevata incidentalmente
la nullità e/o l’inesistenza
della delibera assunta dal Consiglio
dell’Ordine degli Avvocati di Santa
Maria
Capua Vetere del 4.12.2019 (con
cui il Consiglio
deliberando
sull’argomento
posto al n. 11 dell’ordine
del giorno ha
nominato il
Consiglio
di Amministrazione della
Fondazione FEST) disponesse
l’immediata sospensione della delibera, con
conseguente caducazione di
tutti gli atti successivi e dipendenti.
I ricorrente, ai predetti fini, hanno deodotto:
che il COA, nel deliberare la nomina dei
componenti del CdA avrebbe agito nell’esercizio
di poteri non imperativi e non pubblicistici, e quindi “jure privatorum” con conseguente competenza del Giudice Ordinario;
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che
la delibera sarebbe
nulla per decadenza
e, gradatamente per
incompatibilità, di alcuni dei consiglieri in
quanto con delibera in data
22/5/2019 il COA, aveva abrogato l’art 9 del
Regolamento Generale del
C.O.A. che sanciva l’incompatibilità del
Presidente e dei componenti del
COA
di rivestire la
carica di Consigliere
di amministrazione della
Fondazione FEST, e per l’effetto, lo stesso
Presidente e i Consiglieri, nella
stessa
seduta (con
il voto contrario
dei consiglieri ricorrenti)
si
autonominavano nel CdA della Fondazione
rivestendo entrambe le cariche
fino all’11.11.2019 allorquando rassegnavano
le dimissioni dalla seconda
con conseguente asserita decadenza e obbligo
di astensione dalla votazione
del nuovo CdA per conflitto di interessi e violazione dello
Statuto;
che la delibera impugnata sarebbe affetta da
nullità poiché l’art. 9 dello
Statuto della Fondazione FEST stabilisce che
“i componenti del Consiglio
di
Amministrazione vengono nominati
dal Consiglio dell’Ordine degli
Avvocati tra gli iscritti all’Albo degli
avvocati si Santa Maria Capua
Vetere”
mentre, nel caso
di specie, in
dispregio delle prerogative
dell’organo deliberante, la nomina dei
componenti del CdA della FEST
sarebbe stata decisa omettendo di illustrare l’argomento
all’ordine del
giorno del Consiglio e la scelta delle
modalità con le quali procedere alla
votazione è stata rimessa alla discrezionalità del Presidente;
che sussisterebbe la violazione del
regolamento per l’Organizzazione e il
Funzionamento del Consiglio e dell’Assemblea,
approvato con delibera
consiliare 7.6.2016 nonché la violazione dell’art. 97 Cost.;
che la delibera impegnata sarebbe affetta dal
vizio di eccesso di potere non
essendo stato consentito alla minoranza ampia informazione e
discussione;
che sussisterebbe l’incompatibilità dell’avv.
Roberto Santoro a ricoprire la
carica di consigliere della Fondazione
FEST in
quanto procuratore
costituito in un giudizio promosso nei
confronti della Fondazione innanzi al
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Tribunale di Santa Maria Capua Vetere,
iscritto al n. 7401/2017 R.G.L.,
Giudice del Lavoro Dott.ssa Cangiano (prossima udienza 17.6.2020);
che sussiste il “periculum in mora” avendo i ricorrenti
l’interesse ad ottenere
un
provvedimento anticipatorio urgente,
strumentale rispetto alla
proposizione
della domanda di
merito con la
quale chiederanno
l’annullamento
della delibera 4.12.2019
e degli atti
successivi, previa
declaratoria
di decadenza dei
consiglieri dell’Ordine ovvero
previa
declaratoria di incompatibilità dei medesimi
in quanto contemporaneamente
componenti il CdA della Fondazione FEST.
Pertanto, i ricorrenti, sulla base dei
predetti elementi di fatto e di diritto,
hanno
chiesto l’immediata sospensione
della delibera del
Consiglio
dell’Ordine degli Avvocati di Santa Maria Capua Vetere del
4.12.2019 nella
parte in cui, deliberando sull’argomento posto
al n. 11 dell’ordine del
giorno, ha nominato il Consiglio di
Amministrazione della Fondazione
FEST, con conseguente caducazione di tutti gli atti successivi e
dipendenti.
Si
è costituito il
Consiglio dell’Ordine degli
Avvocati che, in via
preliminare ha eccepito;
il difetto di giurisdizione del giudice
ordinario, sussistendo la giurisdizione del
giudice amministrativo;
l’inammissibilità del ricorso per assenza di
indicazione delle specifiche
conclusioni della causa di merito o
quantomeno l’inesatta individuazione di
quest’ultima;
l’inammissibilità del ricorso anche per
mancata evocazione in giudizio dei soggetti asseritamente
ritenuti incompatibili o decaduti;
l’insussistenza del conflitto di interesse o
incompatibilità tra le funzioni di
consigliere dell’Ordine e componente del CDA della Fondazione
Forense;
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l’insussistenza della dedotta nullità o annullabilità della delibera per
invalidità dei voti, o in conseguenza della
decisione sulle modalità della
votazione;
l’insussistenza del preteso eccesso di potere,
non sussistendo alcun abuso della
maggioranza o eccesso di potere o presunto vizio di volontà del deliberato assembleare;
concludendo per il rigetto del ricorso.
Si costituiva, inoltre, l’avv. Roberto
Santoro deducendo l’assenza di ipotesi
di incompatibilità nella sua posizione e
insussistenza di conflitto di interessi
a
ricoprire la carica
di componente del
C.d.A. della F.E.St.,
avendo
rinunciato, a qualsiasi incarico professionale
nel giudizio avverso La Fest
molto tempo prima della nomina a componente
del C.d.A. della F.E.St.,
avvenuta con delibera del Consiglio
dell’Ordine degli Avvocati di S. Maria
C.V. del 4 dicembre 2019; nonché deducendo
l’inammissibilità del ricorso
in rito ed in fatto del ricorso; chiedendo,
altresì, la condanna dei ricorrenti
ex articolo 96 c.p.c.
Fatte queste premesse possono analizzarsi le
diverse questioni preliminari e procedurali
che sono state poste dalle parti e che appaiono dirimenti nell’analisi della presente procedura.
Preliminarmente il Tribunale rileva che il
contraddittorio processuale risulta
regolarmente costituito sia alla luce
dell’avvenuta costituzione in giudizio
del Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Santa Maria Capua
Vetere.
Sempre in via preliminare va osservato che
nessun dubbio può sussistere in
ordine
alla sussistenza della
giurisdizione dell’Autorità Giudiziaria
Ordinaria. (cfr ex multis sentenza 23 gennaio 2014, n. 68, il Tar
Lombardia,
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sezione Brescia; sentenza Consiglio di
Stato, sez. V, del 28 giugno 2012, n.
3820).
Invero, sebbene il Consiglio Nazionale Forense
ed i Consigli dell’Ordine
territoriali siano da ritenersi pacificamente
degli enti di diritto pubblico,
tuttavia il criterio di ripartizione degli
affari fra la giurisdizione Ordinaria e
quella Amministrativa (artt. 24 e 103 Cost.,
come interpretati da Corte
Costituzionale n. 204/2004 e 191/2006) va individuato sulla base della
natura giuridica della posizione soggettiva
azionata in giudizio (art. 386
c.p.c.), non rilevando invece la natura
giuridica, pubblicistica o privata,
della parti del processo.
Ciò significa che, una volta accertata la
natura di soggetto privato della Fondazione, è possibile
qualificare in termini privatistici, quale esplicazione dei poteri che la normativa civilistica riconosce agli enti locali
individuati nello Statuto (il COA),
anche la nomina e la revoca, da parte degli enti pubblici, dei
componenti del Consiglio d’Amministrazione.
Nel caso di specie, lo statuto della Fest, una
fondazione di diritto privato, all’art. 9
attribuisce al Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Santa Maria Capua Vetere
il potere di nomina e revoca degli amministratori. Trattasi di atti di natura pacificamente privatistica.
Da quanto sopra esposto consegue che la revoca e la nomina dei
componenti
del
Consiglio d’amministrazione di
un ente privato
integrano atti di
autonomia privata che non partecipano della
natura dei provvedimenti
amministrativi e sono regolati, quanto alla
loro validità ed efficacia, dalle
norme del diritto privato, in guisa da
generare rapporti di diritto privato e
posizioni di diritto soggettivo, con
conseguente giurisdizione del giudice
ordinario (cfr. Cassazione
civile, sez. un., 26 febbraio 2004 , n. 3892
Consiglio di stato, sez. VI, 11 settembre
1999, n. 1156 Consiglio di stato,
sez. IV, 17 giugno 2003, n. 3405).
Sussiste la giurisdizione del giudice ordinario.
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Venendo ai profili di ammissibilità
dell’invocata misura cautelare, va osservato che il provvedimento cautelare
d’urgenza previsto dall’art. 700
c.p.c., in quanto “norma di chiusura” della materia cautelare, si configura
come un rimedio
a carattere meramente
residuale, azionabile solo ove
non sussistano strumenti ad hoc.
In ambito societario, copiosa giurisprudenza
ne testimonia l’impiego per la
protezione di interessi tra loro differenziati, comunque non tutelabili attraverso strumenti cautelari
tipici.
In virtù di tale principio, problemi
particolari si pongono con riguardo
al coordinamento del citato rimedio con
quello previsto dall’art. 2378
c.c., in tema di impugnazione delle delibere
assembleari.
La norma consente di richiedere, contestualmente
all’impugnazione
della
delibera (seppur con
separato ricorso), la
sospensione della
relativa esecuzione.
L’art. 2378 c.c., invero, prevede una misura
cautelare tipica finalizzata a
tutelare la fruttuosità dell’azione di annullamento proposta, e
cioè ad evitare
che l’attore possa ricevere pregiudizio
durante le more del processo volto
alla invalidazione della delibera assembleare ex artt. 2377 e 2378
c.c..
La norma, benché non sia espressamente
richiamata dall’art. 2379, ult.
comma,
c.c., trova senz’altro
applicazione, oltre che
alla delibere
annullabili, anche alle delibere nulle, nel
senso che, pur in difetto di una
specifica previsione normativa, l’impugnante può
chiedere la sospensione
della
deliberazione anche nel
caso in cui
l’impugnazione è volta
ad
ottenerne
non già la
pronuncia di annullamento,
quanto piuttosto la
declaratoria di nullità.
Come
appare evidente dalla
formulazione della norma,
il
provvedimento cautelare
previsto dall’art. 2378
si riferisce
strettamente all’anticipazione degli effetti
della sentenza di merito e,
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dunque, dell’eventuale annullamento (o
declaratoria di nullità) della delibera
impugnata.
L’applicabilità del rimedio di cui all’art. 700 cpc deve, pertanto, intendersi
tassativamente preclusa ove sia volta ad ottenere, quale petitum, un provvedimento che cauteli il diritto
soggettivo già leso dalla delibera
invalida, anticipando gli effetti della sentenza di merito (e,
dunque, ove presupponga
l’avvenuta deliberazione). (cfr
Trib. Napoli, 4 agosto 2010, in Il Caso.it, Trib. Roma, Sez.
specializzata in materia di impresa, 3
agosto 2016).
È fatta salva, eventualmente, la controversa
questione inerente la cd.
delibera negativa (delibera, cioè, di non
approvazione di una specifica
proposta, che determina la persistenza dello
status quo ante) la quale,
pertanto, non sarebbe suscettibile di esecuzione. L’adozione di una
delibera genera, infatti, di regola, l’obbligo
per gli amministratori di
porre in essere tutti i provvedimenti
necessari alla sua attuazione.
Tali
motivi hanno posto
dubbi circa l’opportunità
di escludere
l’applicabilità del
rimedio ex art. 2378 a tale
fattispecie, che
espressamente
si riferisce alla
sospensione dell’esecuzione della
delibera. In
giurisprudenza, è stata
sostenuta una posizione
favorevole all’esclusione, ammettendosi,
d’altra parte, la possibilità di
sopperire
all’inapplicabilità dello strumento tipico (art. 2378), con
quello residuale
ex art. 700 (Trib. Milano,
Sez. Specializzata in
materia d’imprese, Ord., 28 novembre 2014, in
Giur. It.).
La giurisprudenza ammettendo il ricorso ex
art. 700 cpc in tali ipotesi ha
indirettamente confermato l’inconsistenza del rimedio atipico, al quale va, comunque, sempre preferito quello
tipico.
La
difficoltà concreta di
tale ricostruzione è,
tuttavia, proprio
l’individuazione di una possibile lesione
del diritto soggettivo del
socio che non sia in alcun modo
riconducibile, ex post, alla lesione
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cagionabile dalla delibera. Di tale
provvedimento non dovrebbe, in altri
termini, essere possibile la censura, mediante l’impugnazione della delibera stessa.
Un
diverso e secondo
orientamento, sostiene, invece,
coincidenti
l’interesse
tutelabile ex ante (anche
attraverso il provvedimento
d’urgenza)
e quello tutelabile
ex post (mediante la normale
impugnazione della delibera). La tutela ex
ante sarebbe finalizzata,
pertanto, ad evitare che il diritto del
socio venga leso con l’adottanda
delibera. In ogni caso, sarebbe sempre
necessaria un’analisi empirica,
finalizzata a valutare caso per caso se sia
concretamente individuabile
un interesse autonomo in nessun modo
tutelabile ex post attraverso
l’impugnazione e la sospensione
dell’esecuzione della delibera (Trib.
Mantova, 20 dicembre 2007, in Il Caso.it)
Tale orientamento, a parere di chi scrive
appare poco convincente in
quanto incompatibile con la necessaria
residualità dello strumento
atipico.
Pertanto, è da ritenersi che la tutela ex art.
2378 non necessiti, in
realtà,
di ulteriori integrazioni,
disciplinando, dunque una
misura
cautelare “tipica”, sia pure non compresa nel
codice di rito, che in quanto
tale preclude la concessione della tutela cautelare “atipica” di
cui all’art. 700
c.p.c., che è esperibile solo in via residuale, quale norma di
chiusura che può
operare solo quando nessun altro rimedio cautelare è esperibile.
Questa peculiarità del provvedimento
d’urgenza ex art. 700 c.p.c., definita
come “sussidiarietà” o “residualità” ne limita
l’applicazione e ne determina
l’inammissibilità qualora
la parte abbia
a disposizione un
altro
provvedimento cautelare tipico. Al contrario,
nelle vicende societarie, la
sospensione degli effetti di deliberazioni
degli organi sociali, quand’anche
incidenti sul mantenimento della posizione
sociale di uno o più soci, può
essere richiesta, a norma dell’art. 2378, co. 4, c.c. soltanto con ricorso
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depositato contestualmente alla proposizione di un’azione di
annullamento o
nullità della relativa deliberazione, con la
conseguenza che risulta preclusa
al socio la possibilità di ottenere la
medesima tutela mediante l’esperimento
del rimedio residuale e “atipico” di cui
all’art. 700 c.p.c. (cfr Trib . Milano
sez. fer. N.RG 35415/2019 R.G. www.giurisprudenzadelleimprese.com;
Trib. Monza, 17 aprile 2000, seguita poi da Trib. Milano, 18
luglio 2001).
In forza di tutto quanto premesso il ricorso va dichiarato
inammissibile.
Stante
i motivi della
decisione in rito
e la complessità
nonché
controvertibilità delle questioni trattate
sussistono giuste ragioni per la
compensazione fra le parti delle spese del
giudizio non sussistendo i
presupposti in fatto ed in diritto per la
condanna risarcitoria di cui all’art. 96
cpc.
PQM
Il Tribunale di S. Maria C.V., terza Sezione
Civile, in composizione monocratica così provvede :
rigetta il ricorso;
compensa le spese
Si comunichi
S. Maria C.V.,13/07/2020
Il giudice
dr.Rita Di Salvo