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venerdì 4 dicembre 2009

STAMATINA IL sIMULACRO PENALE INTITOLATO ALL'AVVOCATO MARROCCO


IL 5 DICEMBRE A SANTA MARIA CAPUA VETERE
UN PROCESSO SIMULACRO DI DIFESA PER I GIOVANI AVVOCATI

Quest’anno il concorso indetto dall’Ordine degli avvocati è intitolato a Giuseppe Marrocco -  La ricostruzione delle “avventure” di  un maniaco sessuale che aggredì in Germania varie donne. Era nativo di Camigliano ed abitava a Capua – Processato per tentato omicidio e tentata violenza sessuale venne condannato a 15 anni di reclusione – Una serie di perizie sul DNA e altri interessanti risvolti processuali.


     Santa Maria Capua Vetere -  ( di Ferdinando Terlizzi )  Sono stati  assegnati  nei giorni scorsi  i ruoli,  per l’annuale concorso di oratoria forense riservato ai giovani avvocati penalisti. Il Comitato organizzatore – in seno al Consiglio dell’Ordine di S. Maria C.V. di cui è presidente Elio Sticco – ha voluto intitolare quest’anno il simulacro del processo penale alla memoria di uno dei più significativi  e sanguigni avvocati penalisti,  a Giuseppe Marrocco.  Avvocato di  grande levatura morale e culturale è stato impegnato in numerosi e gravi processi non solo nel Foro sammaritano. Quelli che io ricordo? Il  processo Tafuri, (era  difensore del medico assassino ); il  processo omicidio  Noviello, ( fu parte civile nel processo per l’assassinio del sindaco di Castelvolturno,  Arturo Noviello, ucciso dalla sua governante,  perché l’aveva estromessa dal suo testamento. E’ uno dei capitoli del mio prossimo libro “Passioni&Delitti: Le donne assassine di Terra di Lavoro” );  processo contro i fratelli Vincenzo e Cristoforo Coppola, ( parte civile per il comune di Castelvolturno, per lo scempio di Pinetamare); processo contro i rivoltosi del calcio della casertana, ( difese molti  tifosi tratti in arresto);  processo contro il maresciallo Vincenzo  Jannetti,  ( arrestato per concussione in seguito ad  per un complotto di teste coronate e poi,  con la difesa di Marrocco,  assolto ).
     Il “tema” assegnato  quest’anno ai giovani avvocati,  riguarda un complesso e delicato processo a carico di uno stupratore seriale, nativo di Camigliano, ma abitante a Capua, emigrante come manovale in Germania,  tale Salvatore Barbato. Io lo ricordo bene questo processo. All’epoca ero cronista giudiziario di un quotidiano napoletano. Si tratta di una vicenda ingarbugliata e complessa, con risvolti giuridici di varia interpretazione. Bene hanno fatto – quindi – i consiglieri dell’Ordine degli avvocati a scegliere questo dibattimento che impegnerà notevolmente i  “pulcini” degli studi legali penali del Foro sammaritano. Certo, sapendo già il risultato finale – cioè la condanna dell’imputato – sarà favorito il giovane avvocato che interpreterà la parte dell’accusa o della parte civile. Ma, io credo, che i giudizi per l’assegnazione del premio di eloquenza forense  dovranno principalmente tenere in considerazione oltre che l’impostazione difensiva anche il linguaggio appropriato in uno ad una forbita oratoria.
     Ecco in sintesi i fatti.  Partiamo dalla deposizione della vittima, tale Ute Hofmann  (una ragazza madre tedesca ) all’epoca dei fatti 26ene e residente a Monaco di Baviera. La donna riferì che una notte del 1986 ( il processo fu celebrato dopo 10 anni dal fatto ) ella,  per il grande caldo,  dormiva con la porta finestra aperta, nello stesso accanto a lei  dormiva la figlia Nina. All’improvviso durante il sonno la donna si era ritrovata un estraneo all’interno della stanza che le era saltato  addosso,  a cavalcioni,  poggiandole le gambe sulla pancia,  così cercando  di immobilizzarla. L’uomo, che indossava un cappuccio per coprire il  volto, le aveva ingiunto di tacere e aveva quindi preso a strapparle la camicia da notte ai lati e nel contempo le aveva toccato il seno. La donna, resasi conto che l’uomo intendeva violentarla, aveva allora agito con veemenza, prendendo a strillare e a dimenarsi; aveva afferrato con la mano sinistra la lama del coltello con il quale l’uomo la minacciava, determinando la reazione dell’aggressore che sferrava colpi di acuminato coltello al collo ed al volto. La donna spiegò che era riuscita nella colluttazione a strappare il cappuccio che copriva il volto all’uomo e che rimaneva così sul  suo letto ( fu rinvenuto dalla polizia tedesca e sequestrato). La donna  aveva anche dichiarato che l’uomo le era sembrato un italiano ma che tuttavia non parlava tedesco.
     Ma come si arrivò al maniaco italiano? L’appartamento vicino a quello dell’aggressione era occupato dal giovane capuano che  conviveva con un omosessuale tedesco. Nella stanza venne trovata una sacca di tela,  uguale a quella utilizzata per cappuccio ( era una sacca per scarpe di fabbricazione italiane ); il giovane risultava arrestato, processato e condannato per violenza sessuale negli anni precedenti. Dall’esame del DNA ( già in possesso della polizia per il primo reato ) ci fu un confronto con la saliva rinvenuta nel cappuccio trovato sul letto della donna per cui fu facile per gli inquirenti risalire al giovane aggressore.
      Scontata la pena delle precedenti violenze sessuali il casertano venne estradato  in Italia per cui venne instaurato processo qui da noi,  per la sua terza aggressione  sessuale. Il suo comportamento processuale non fu assolutamente coerente. Si protestò innocente. Anche se non  fu riconosciuto in seguito ad un confronto all’americana ( ma erano trascorsi 10 anni dal tentato omicidio ) ma si rifiutò di sottoporsi al prelievo della saliva per un ulteriore accertamento peritale. Questo fatto, unitamente ai suoi precedenti ( per le due  aggressioni sessuali)  convinsero i giudici della sua piena colpevolezza.
      Il collegio giudicante si uniformò ad una sentenza dell’epoca che enucleava: Il libero convincimento del giudice, che si estrinseca nel momento della valutazione della prova, nel processo indiziario è il corretto risultato di un’operazione logica-induttiva attraverso la quale la massima di esperienza del sillogismo normativamente imposto dal secondo comma dell’art. 192 c.p.p. si pone come premessa maggiore, l’indizio è la premessa minore e la conclusione è costituita, nel suo divenire per cristallizzarsi definitivamente, dalla prova del fatto in esame, cui si giunge, ( stante la naturale inadeguatezza degli indizi ) se questi siano gravi, vale a dire resistenti alle obiezioni e perciò convincenti, precisi e cioè non suscettibili di diversa interpretazione, per lo meno altrettanto verosimile, e concordanti vale a dire non contrastanti tra loro e  con altri elementi certi”. 
     Tratto a giudizio per tentato omicidio e tentata violenza sessuale venne condannato a 15 anni di reclusione. Il pubblico ministero d’udienza aveva chiesto una sua condanna a  18 anni di reclusione. I suoi difensori avevano sostenuto, tra l’altro,  l’invalidità della perizia sul DnA adducendo il fatto che “…era verosimile che la saliva potesse appartenere ad altra persona – con un DNA identico a quello dell’imputato…”. Ma i periti di ufficio avevano dimostrato che la cosa  era impossibile “ricorrendo la circostanza statisticamente una volta ogni 46 milioni di abitanti di razza caucasica ( europea) con soggetti con cinque poliformismi di DNA identici”.