Nessuno si sarebbe mai immaginato che il piano regolatore
generale stilato nel 1983 dall’ingegnere Giuseppe Merola potesse essere uno
strumento urbanistico così blindato. Anche il Consiglio di Stato con sentenza del 5 dicembre 2017, che pubblichiamo
integralmente perché il documento passerà alla storia giudiziaria
amministrativa, estensore , guarda caso, il Giudice Carlo Schilardi
ex Prefetto di Caserta, ha ritenuto, nonostante
la Regione Campania e noti faccendieri e speculatori si volevano impossessare
di terreni industriali per costruirci centri commerciali e il piano casa, di rigettare il ricorso della
Cooperativa al Risparmio che aveva chiesto
al comune di Santa Maria Capua Vetere di
aprire una attività commerciale in un area industriale dismessa sfruttando anche
un parere della Regione Campania. La giunta municipale di Santa Maria Capua
Vetere di cui l’architetto Biagio Maria Di Muro ne era il sindaco, aveva visto giusto
in quanto già il tar aveva in ogni caso dato ragione già nel 2015 al Comune di
Santa Maria Capua Vetere. E’ inutile
dire che l’avvocato Pasquale Iannuccilli che aveva difeso il Comune aveva avuto
già ragione in primo grado . La battaglia iniziata già nel 2011 è durata per ben 4 anni fermando gli
speculatori che volevano distruggere Santa Maria Capua Vetere e i figli che
verranno . Con questa sentenza si è messa la parola fine ad una querelle che ha
visto schierarsi autorevoli personaggi politi dell’opposizione che sfruttando
pennivendoli i quali non hanno fatto che narrare cose inesatte . ora sta al
comune di santa Maria Capua Vetere con in prima linea il Sindaco Antonio Mirra farne tesoro di ciò
che ha stabilito il Consiglio di Stato nel comune di Capua Antica fermando i
suoi presupposti sul piano regolatore generale stilato nel 1983 dall’ingegnere
Giuseppe Merola.
Sciogliendo ogni
dubbio pubblichiamo qui sotto integralmente la sentenza n.9020/2017, pubblicata
il 20/12/2017
N. 05984/2017REG.PROV.COLL.
N. 09020/2016 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 9020 del 2016,
proposto dalla Società Cooperativa Al Risparmio di Santa Maria Capua Vetere, in
persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dall'avvocato
Luigi Adinolfi, con domicilio eletto presso lo studio legale Rosati Bei Anna in
Roma, via Ovidio n. 10;
contro
il Comune di Santa Maria Capua Vetere in persona del sindaco
in carica, rappresentato e difeso dall'avvocato Pasquale Iannuccilli, con
domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via Lima n. 7;
per la riforma
della sentenza del T.A.R. CAMPANIA - NAPOLI: SEZIONE III n.
03206/2016, resa tra le parti, concernente l’ammissibilità della S.C.I.A. per
l’apertura di una media struttura commerciale.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di Santa
Maria Capua Vetere;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 5 dicembre 2017 il
Consigliere Carlo Schilardi e uditi per le parti l’avvocato Adinolfi e l’avvocato
Conticiani per Iannuccilli;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
1.- La Società Cooperativa al Risparmio di Santa Maria Capua
Vetere (nel seguito società cooperativa) è affittuaria di un capannone
industriale di proprietà della Biel Company s.r.l, sito nel comune di Santa
Maria Capua Vetere in località Cappuccinelle.
L’area su cui insiste detto immobile, dal Piano Regolatore
Generale (P.R.G.) del Comune è classificata omogenea “D”, a
destinazione industriale; sulla stessa area insistono diversi capannoni
costruiti a partire dagli anni 50, anche in deroga alle norme urbanistiche
comunali e legislative, a fronte dell'importanza dell’attività industriale
svolta nell'area dall'Italtel (ex Siemens).
A seguito della dismissione dell'attività industriale, la
società proprietaria e i suoi affittuari hanno presentato una molteplicità di
S.C.I.A., concernenti ciascuna singoli capannoni industriali o parti di essi,
ma non l'intero insediamento.
Anche la Società Cooperativa al Risparmio di Santa Maria
Capua Vetere presentava in data 6 maggio 2015 all'Ufficio Tecnico del Comune di
Santa Maria Capua Vetere, una S.C.I.A. per lavori destinati all'apertura di una
media struttura commerciale all’interno del capannone.
1.2. Con nota n. 16353 del 3 giugno 2015, l'Ufficio tecnico
di Santa Maria Capua Vetere comunicava alla società interessata il preavviso di
diniego, ai sensi dell’art 10-bis L. 241/1990, ritenendo la S.C.I.A.
irricevibile.
1.3. La società cooperativa impugnava innanzi al T.A.R. per
la Campania detto preavviso (ricorso n. 4144/2015) e, in data 16 luglio 2015,
trasmetteva le proprie controdeduzioni, alle quali il comune rispondeva con il
provvedimento n. 0025255 del 31 agosto 2015 del dirigente S.U.A.P. di
dichiarazione di irricevibilità della S.C.I.A..
Il Comune di Santa Maria Capua Vetere, con provvedimento del
dirigente S.U.A.P. n. 0025255 del 31 agosto 2015, replicava alle osservazioni
presentate dalla società cooperativa, confermando il diniego della S.C.I.A..
Avverso tale ultimo provvedimento la società cooperativa
proponeva un nuovo ricorso innanzi al T.A.R. per la Campania, assumendo di aver
superato i profili di illegittimità evidenziati dal Comune, avendo depositato,
in data 12.6.2015, la documentazione che l'ufficio tecnico comunale aveva
rilevato essere mancante all'atto della presentazione della S.C.I.A.
1.4. Il T.A.R. con sentenza n. 3206 del 22 giugno 2016 ha
rigettato il ricorso ritenendo infondate le censure avanzate dalla società
cooperativa.
Avverso la sentenza la società cooperativa Al Risparmio di
Santa Maria Capua Vetere ha proposto appello.
Si è costituito in giudizio il Comune di Santa Maria Capua
Vetere che ha chiesto di rigettare l'appello.
All'udienza pubblica del 5 dicembre 2017 la causa è stata
trattenuta per la decisione.
DIRITTO
2. Con un primo motivo l'appellante lamenta l'erroneità
della sentenza del T.A.R. nella parte in cui il Tribunale ha ritenuto che la
documentazione allegata alla S.C.I.A. fosse incompleta e che, conseguentemente,
non fosse censurabile la dichiarazione di irricevibilità della stessa opposto
dal Comune.
L'appellante sostiene che il Comune avrebbe affermato in
modo generico che la documentazione prodotta a corredo della S.C.I.A. fosse
insufficiente e che con i documenti integrativi, trasmessi in data 12 giugno
2015 aveva, comunque, "assolto l'onere di corredare la S.C.I.A. di
tutti gli elementi istruttori, realizzando dunque tutti i presupposti per
considerarla ricevibile".
2.2. Diversamente, la difesa del Comune insiste nel
sostenere che i documenti mancanti erano stati indicati nel preavviso di
irricevibilità della S.C.I.A. e richiamati nell'atto di diniego della stessa
del 31 agosto 2015 e in ogni caso, che alcuna integrazione documentale avrebbe
potuto validare la S.C.I.A., essendo la stessa un'autodichiarazione che
legittima i lavori e, in quanto tale, doveva essere necessariamente presentata
completa in ogni suo elemento.
2.3. La tesi dell'appellante non può essere condivisa. Nel
provvedimento del 3 giugno 2015 n. 16353, infatti, sono elencati i documenti
mancanti e non allegati alla S.C.I.A., che per la loro ritualità dovevano
essere conosciuti anche dall'istante, documenti che sono stati, poi, prodotti
in via successiva il 12 giugno 2015.
Come evidenziato dal T.A.R., inoltre, l'Amministrazione ha
fondato la legittimità del diniego e l'irricevibilità della S.C.I.A. non solo
sulla mancata produzione per tempo della documentazione necessaria alla
formazione del silenzio significativo, ma anche perché era necessario
rispettare gli standard urbanistici previsti nella zona "D"industriale
in sé e con riferimento alle strutture commerciali insistenti su aree superiori
a 8000 mq, nonché per l'intervenuta violazione dell'art 23 T.U. del DPR. n.
380/2001 sul cambio di destinazione rilevante.
3. Con altra articolata censura l'appellante lamenta
l'erroneità della sentenza del T.A.R. laddove il Tribunale ha ritenuto
infondati il secondo, terzo e quarto motivo del ricorso originario e assume che
per le strutture presenti nella zona D, il S.I.A.D. legittimerebbe
l’allocazione di strutture commerciali in edifici aventi destinazione
industriale e, in particolare che il provvedimento impugnato violerebbe le
previsioni del S.I.A.D. e dell’art. 15, comma 1, della legge regionale n. 1 del
9 gennaio 2014, secondo cui “l’insediamento degli esercizi di vicinato
è ammesso in tutte le zone territoriali omogenee comunali, ad eccezione di
quelle per le quali lo strumento urbanistico generale espressamente ne vieta la
realizzazione”.
Le norme di attuazione dello strumento urbanistico (N.T.A.)
lascerebbero intendere, poi, che l’intervento richiesto non sarebbe vietato in
alcuna delle zone omogenee “A”, “B”, “C”, “D” e non sarebbe
necessario approvare preventivamente un piano urbanistico attuativo per
assentire la S.C.I.A., essendo tale piano richiesto per interventi superiori a
mq 10.000, laddove quello da realizzare prevede uno sviluppo non superiore a mq
8.000.
Il T.A.R., infine, non avrebbe considerato che il P.R.G. del
Comune di Santa Maria Capua Vetere prevede distinte zone "D", quelle "esistenti" e
quella di "nuova individuazione" e che le norme del
S.I.A.D. (strumento di intervento per l’apparato distributivo) prevedono per le
zone già "esistenti" (come nel caso di specie) la
destinazione commerciale in adeguamento al P.R.G., con intervento diretto (per
cui è sufficiente la S.C.I.A. per l'allocazione nell'area di una media
struttura commerciale) mentre per le zone di nuova individuazione è necessaria
una specifica variante al P.R.G..
L'appellante a sostegno della propria tesi richiama due
sentenze del T.A.R. Campania (n. 5149/2016 e n. 727/2014) che, in casi
analoghi, si sarebbe determinato in maniera opposta a come si è pronunciato nel
presente giudizio.
3.2. Orbene, il Collegio osserva che, come evidenziato dalla
difesa del Comune, il richiamo alla sentenza del T.A.R. Campania n. 5149/2016
non si attaglia al caso in trattazione, in quanto nella stessa oggetto del
contendere è la zona "F" del Comune di Caserta, la
cui compatibilità commerciale è prevista anche dal P.R.G..
Parimenti inconferente è il richiamo alla sentenza n.
727/2014 della Sezione di Salerno del T.A.R. Campania, non ricorrendo anche in
quel caso alcun conflitto con la pianificazione urbanistica.
Diversamente, nel caso di specie l’area in questione è
regolata dall’art. 28 delle norme tecniche di attuazione del Piano Regolatore
vigente, che disciplina le zone D e D-PIP, destinandole ad insediamenti
industriali e artigianali e ad attrezzature mercantili all'ingrosso, mentre
l'art. 24 delle N.T.A. al P.R.G. disciplina separatamente le aree commerciali
da quelle industriali.
Ed è da escludere che il S.I.A.D. possa modificare le N.T.A.
del P.R.G. non potendo esso contrastare con la pianificazione generale che è,
invece, chiamato ad integrare, mentre, come rilevato dal T.A.R., va evitato che
la differenza di indici e di regolamentazione tra le zone "D" e
le zone "G" commerciali possa determinare un
sostanziale disordine edilizio.
La delibera della Giunta Regionale n. 349 del 19 marzo 2005,
concernente il visto di conformità del S.I.A.D. del Comune di Santa Maria Capua
Vetere, malgrado le incertezze presenti nel corpo del provvedimento, nella
parte dispositiva evidenzia inequivocabilmente che “gli insediamenti di
attività commerciali, ricadenti su aree non conformi agli strumenti urbanistici
vigenti, saranno possibili o attraverso i procedimenti di variante così come
previsto dalla normativa vigente o in presenza di nuova pianificazione
urbanistica....”.
3.3. Per quanto esposto, non può ragionevolmente ritenersi
che la S.C.I.A. sia passibile di modificare la destinazione dell'area, in
contrasto con le previsioni delle N.T.A. del P.R.G. e che possa superare il
disposto dell'art. 23-ter del D.P.R. n. 380/2001, che prevede allo scopo il
rilascio di uno specifico permesso di costruire, assistito da relativa
procedura in variante.
Giova evidenziare che a termini dell’art. 23-ter del D.P.R.
n. 380/2001 la richiesta di cambio di destinazione di un immobile da categoria
produttiva a commerciale, determina un mutamento "rilevante", con le
implicazioni in termini di carichi urbanistici e di impatto sul territorio che
esso comporta, anche per la necessità, nel caso di specie, di procedere al
frazionamento di un vastissimo complesso immobiliare, circostanze tutte che il
T.A.R. non ha mancato di evidenziare.
3.4. Il Comune, nel negare la ricevibilità della S.C.I.A.,
ha tenuto conto di ciò e, in particolare, delle prescrizioni della delibera
regionale n. 349/2005 (che ha approvato il S.I.A.D.), in cui è detto che nelle
aree non conformi al P.R.G. gli insediamenti produttivi possono essere ammessi
solo previa variante allo stesso, senza alcuna distinzione tra aree "D" esistenti
e aree "D" di nuova individuazione.
Pertanto, al fine di modulare l'insediamento sul territorio
di strutture di vendita di rilevante impatto urbanistico in modo armonico, la
pianificazione commerciale del Comune ha preso a riferimento le aree omogenee
individuate in sede di governo del territorio, perché è la zonizzazione operata
a rendere possibile lo sviluppo commerciale in modo coerente con l'assetto
urbanistico generale.
In altri termini, il giudizio di compatibilità astratta
della struttura di vendita con il territorio nel quale è destinata a sorgere
non può che basarsi sull'area omogenea di piano regolatore e quindi nella
verifica degli standard urbanistici ivi esistenti.
Il processo di liberalizzazione delle attività commerciali
perseguito dall’Unione Europea e dal legislatore nazionale, non consente il
superamento delle pianificazioni urbanistiche, frutto di complesse scelte di
natura politica e amministrativa, rivolte alla corretta e razionale
utilizzazione del territorio e il S.I.A.D. deve essere letto in coerenza con
esse.
4. L'appellante contesta, ancora, la sentenza nella parte in
cui il Tribunale ha osservato che il Comune, con varie delibere, avrebbe sempre
tutelato la destinazione industriale dell'area.
4.2. La censura non coglie nel segno.
Sovviene, al riguardo, la deliberazione n. 17 del 14 maggio
del 2014 del Consiglio comunale di Santa Maria Capua Vetere in cui è detto
letteralmente che " l'area ex Finmec (già Italtel), oggi assegnata
a destinazione urbanistica industriale deve rimanere esclusivamente tale e
salvaguardata da interessi speculativi nel redigendo PUC". Dello
stesso tenore la delibera n. 29 del 15 maggio 2012, con cui il Comune ha
espresso l'intendimento di tutelare la vocazione produttiva industriale
dell'area ex Siemens “con esclusione di utilizzare la suddetta area
industriale agli eventuali fini dell'applicazione della legge regionale sul
Piano Casa".
Pur trattandosi, invero, di enunciazioni di principio, dette
delibere manifestano con chiarezza l'orientamento del Comune in tema di assetto
territoriale.
4.3. Prive di rilievo sul piano giuridico e tecnico sono le
affermazioni presenti nella perizia giurata prodotta dall'appellante e cioè che
la zona in cui ricade l'insediamento de quo sarebbe provvista di tutte le opere
di urbanizzazione primaria e secondaria e che essa non avrebbe carattere
unitario ma sarebbe composta da più particelle disposte su un'area di circa 200
mila mq.
4.4. Al riguardo, a prescindere dalle eccezioni del Comune
circa l'ammissibilità della perizia, perché non depositata in primo grado,
l’ente locale ha dettagliatamente evidenziato che le urbanizzazioni presenti
nell'area sono solo funzionali al vecchio complesso industriale autonomo e
indipendente dal contesto circostante. Inoltre gli accessi all'area interamente
recintata, per le loro caratteristiche, non consentirebbero l'utilizzazione
pubblica diretta delle strade presenti nell'ambito del lotto né vi sarebbero
aree di parcheggio a disposizione, fermo restando l’esistenza di un unico
ingresso per accedere al capannone da utilizzarsi da parte dalla società
Cooperativa.
5. Nessuna contraddittorietà è ravvisabile, infine, in
ordine ad un'altra iniziativa assentita e che sarebbe simile a quella
richiesta. Al riguardo, infatti, il T.A.R. ha espressamente osservato che in
quel caso si trattava di un intervento su un unico lotto, completamente
urbanizzato e che l’intervento è stato autorizzato con permesso di costruire e
non con semplice S.C.I.A.
In ogni caso, come rilevato dal Comune, eventuali
irregolarità pregresse non possono consentire di "continuare a
compromettere l'equilibrio urbanistico della città".
6. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano in Euro
5000,00 in favore del Comune appellato.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione
Quarta), definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto,
lo respinge.
Condanna la parte soccombente al pagamento delle spese del
presente grado di giudizio che si liquidano in misura di Euro 5000,00 in favore
del Comune di Santa Maria Capua Vetere appellato.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità
amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 5
dicembre 2017 con l'intervento dei magistrati:
Antonino Anastasi, Presidente
Fabio Taormina, Consigliere
Carlo Schilardi, Consigliere, Estensore
Giuseppe Castiglia, Consigliere
Luca Lamberti, Consigliere
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L'ESTENSORE
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IL PRESIDENTE
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Carlo Schilardi
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Antonino Anastasi
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