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giovedì 5 settembre 2013

SANTA MARIA CAPUA VETERE - ECCO COME IL COMUNE DI SANTA MARIA CAPUA VETERE HA MESSO I PALETTI SULLE ZONE F



Leggere che un sammaritano doc, come d'altronde è l'avvocato Mimmo Santonastaso , perché figlio dell'ex sottosegretario ai trasporti Giuseppe, si è preso a cuore la situazione sammaritana, la dice lunga su come la città vuole a tutti i costi difendere quella dignità cittadina che per alcuni anni è stata messa in discussione . 
Ecco la sentenza con cui il tribunale amministrativo regionale ha messo un paletto importante affinché  la città si difendesse dai soprusi che avvengono giorno per giorno.  
Ne vale la pena leggerla  


N. 04168/2012 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania
(Sezione Ottava)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso n. 4168/ 12 R.G., proposto da:
Kinetic Center Srl, in persona del legale rappresentante p.t. rappresentata e difesa dall'avvocato Fabio Sarro, con domicilio eletto presso lo stesso in Napoli, viale Gramsci,19;
contro
Comune di Santa Maria Capua Vetere, in persona del Sindaco p.t. rappresentato e difeso dall'avvocato Domenico Santonastaso, con domicilio eletto presso lo stesso in Napoli, via Nicola Nisco 11, presso l’avvocato Cagnazzi;
nei confronti di
L'Esperanza Immobiliare Srl, in persona del legale rappresentante p.t., non costituita in giudizio;
per l'annullamento
del provvedimento prot. n. 0029653 del 07/08/2012, con il quale di dirigente del settore tecnico urbanistica del Comune di Santa Maria Capua Vetere, ha ordinato alla societa' ricorrente di non eseguire i lavori di cui alla s.c.i.a. presentata il 09/07/2012.

Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di Santa Maria Capua Vetere;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
data per letta nell'udienza pubblica del 5 giugno 2013 la relazione del consigliere Paolo Corciulo e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO
In data 18 settembre 2003 il Comune di Santa Maria Capua Vetere rilasciava alla società L’Esperanza Immobiliare permesso di costruire n. 104 per la realizzazione di un immobile d’interesse collettivo destinato a servizi per la collettività nell’ambito della “lottizzazione Sandulli”, sita alla Traversa di via Giovanni Paolo I, (attualmente denominata Victoria Park).
Al citato permesso di costruire facevano seguito le varianti n. 23 del 17 marzo 2005 e nn. 110/2007 e n. 53/2008.
In data 24 luglio 2009, il Comune di Santa Maria Capua Vetere rilasciava certificato di agibilità del fabbricato destinato a servizi per la collettività, evidenziando che il piano rialzato consisteva in 8 locali commerciali, mentre il primo, secondo e terzo piano contenevano i primi due 8 unità non residenziali ad uso ufficio, il terzo 7 unità della medesima categoria.
In data 4 novembre 2011 la società stipulava con la Kinetic Center s.r.l. un contratto preliminare di vendita di due locali siti al piano terra, previo cambio di categoria da uso commerciale C1 ad uso ufficio A10.
A tal fine, veniva dalla promissaria alienante presentata s.c.i.a. in data 12 dicembre 2011, iniziativa riscontrata da provvedimento inibitorio del Comune, recante il n. 0008945 del 1° marzo 2012, con cui si evidenziava che “la destinazione d’uso del locale in oggetto, sia quella esistente “commerciale”, sia quella richiesta di “ufficio”, non rientrano tra le opere di urbanizzazione primaria, destinazione per la quale è stato rilasciato il permesso di costruire n. 23 del 17 marzo 2005 e successiva variante n. 53 del 30 aprile 2008”.
Il provvedimento veniva annullato con sentenza di questa Sezione del 22 maggio 2012 n. 2361 per difetto di motivazione, questa essendo stata ritenuta oltre che generica, anche oscura, con riferimento alla rilevata eterogeneità tra la nozione di destinazione d’uso e quella di opere di urbanizzazione primaria.
Passata in giudicato la sentenza, poco prima della stipulazione del contratto definitivo, la promissaria acquirente Kinetic Center s.r.l., ottenuta la disponibilità degli immobili, in data 9 luglio 2012 presentava al Comune di Santa Maria Capua Vetere s.c.i.a. avente ad oggetto “la diversa distribuzione degli spazi interni dei locali senza alterazione di volumi urbanistici, di superfici assentite, né alterazioni o mutazioni dei prospetti esterni dello stabile”.
Con provvedimento n. 0029563, notificato il 16 agosto 2012, l’Amministrazione comunale intimava alla Kinetic Center s.r.l. di non iniziare i lavori in quanto “la destinazione d’uso richiesta ad uffici privati non rientra tra le opere di urbanizzazione, stante la destinazione dell’immobile e dell’area su cui lo stesso insiste.
Avverso tale provvedimento ha proposto ricorso a questo Tribunale la Kinetic Center s.r.l. chiedendone l’annullamento, previa concessione di idonee misure cautelari, oltre al risarcimento dei danni.
Con il primo motivo di impugnazione è stato lamentato che il provvedimento inibitorio sarebbe stato notificato al dichiarante ben oltre il termine perentorio di 30 giorni dalla presentazione della dichiarazione, risalente al 9 luglio 2012, a nulla rilevando ai fini della tempestività la data di adozione dello stesso (7 agosto 2012).
Con la seconda censura è stato invece dedotto che il provvedimento contestato si fonderebbe sull’erronea pretesa di mutamento della destinazione d’uso dei locali oggetto di trattativa, modificazione per nulla richiesta dalla ricorrente – avendo la s.c.i.a. de qua il diverso oggetto concernente la distribuzione degli spazi interni – in quanto già maturata per effetto della precedente s.c.i.a. del 12 dicembre 2011 su cui si sarebbe ormai formato il giudicato relativo alla sentenza 22 maggio 2012 n. 2361; violazione del giudicato che comunque costituirebbe causa di nullità ai sensi dell’art. 21 septies della legge 7 agosto 1990 n. 241;
Con la terza censura è stato ancora evidenziato che la motivazione sarebbe indeterminata, oltre che erronea, non essendo possibile ricondurre la destinazione d’uso di un manufatto alle opere di urbanizzazione primaria, come se vi fosse un rapporto di genus ad speciem; inoltre, l’assunto posto a fondamento dell’inibitoria si porrebbe in contrasto con il certificato di agibilità del fabbricato rilasciato dal medesimo Comune di Santa Maria Capua Vetere.
In quarto luogo, emergerebbe un profilo di contraddittorietà tra quanto rilevato dal Comune nella nota n. 20610 del 15 giugno 2005, in cui si assume che la destinazione ad uffici e ad uso commerciale non rientrerebbe tra le opere di urbanizzazione primaria o secondarie ai fini del pagamento del costo di costruzione e degli oneri di urbanizzazione, e quanto invece ritenuto ai fini della s.c.i.a. per cui è giudizio.
Infine, l’Amministrazione non avrebbe potuto esprimersi in termini di assentibilità dell’intervento oggetto della s.c.i.a., non essendo configurabile alcun potere autorizzatorio in tal senso.
La società ricorrente ha anche proposto azione per il risarcimento dei danni subiti a seguito della mancata conclusione del contratto di compravendita, rappresentando di aver stipulato un contratto di leasing immobiliare in esecuzione del quale avrebbe versato l’importo di €128.000 a titolo di canone anticipato iniziale.
Si è costituito in giudizio il Comune di Santa Maria Capua Vetere, concludendo per il rigetto del ricorso e della domanda cautelare.
La difesa dell’ente ha preliminarmente eccepito l’inammissibilità del ricorso per carenza di interesse, attesa la natura endoprocedimentale della nota oggetto di impugnazione, trattandosi di una mera comunicazione di avvio del procedimento.
All’udienza del 5 giugno 2013, in vista della quale parte ricorrente ha depositato una memoria conclusionale, la causa è stata trattenuta per la decisione.
Va preliminarmente respinta l’eccezione di inammissibilità del ricorso per carenza di interesse, dal momento che l’atto gravato, contenendo un’inibitoria ad iniziare i lavori, presenta senza dubbio idonea capacità lesiva per la società ricorrente.
Nel merito, comunque, il ricorso non è meritevole di accoglimento.
Con riferimento al primo motivo di impugnazione, rileva il Collegio che l’atto impugnato è da ritenersi legittimo dal punto di vista della tempestività dell’esercizio del potere inibitorio. L’art. 19, terzo comma della legge 7 agosto 1990 n. 241 e s.m.i. stabilisce che, presentata la segnalazione certificata di inizio attività, «l'amministrazione competente, in caso di accertata carenza dei requisiti e dei presupposti di cui al comma 1, nel termine di sessanta giorni dal ricevimento della segnalazione di cui al medesimo comma (trenta giorni in materia edilizia ai sensi del comma 6 bis) adotta motivati provvedimenti di divieto di prosecuzione dell'attivita' e di rimozione degli eventuali effetti dannosi di essa, salvo che, ove cio' sia possibile, l'interessato provveda a conformare alla normativa vigente detta attivita' ed i suoi effetti entro un termine fissato dall'amministrazione, in ogni caso non inferiore a trenta giorni. E' fatto comunque salvo il potere dell'amministrazione competente di assumere determinazioni in via di autotutela, ai sensi degli articoli 21-quinquies e 21-nonies». Il riferimento al termine “adozione” (presente anche nel comma quarto della medesima disposizione) relativamente al provvedimento inibitorio esclude che il legislatore abbia inteso qualificare tale fattispecie come recettizia, nel senso di qualificare anche la fase di comunicazione come suo elemento strutturale.
Va rilevato come l’adempimento informativo sia piuttosto riconducibile all’art. 21 bis, primo comma della medesima legge, secondo cui «il provvedimento limitativo della sfera giuridica dei privati acquista efficacia nei confronti di ciascun destinatario con la comunicazione allo stesso effettuata anche nelle forme stabilite per la notifica agli irreperibili nei casi previsti dal codice di procedura civile». Non di elemento strutturale, ma di mera condizione di efficacia si deve dunque parlare riguardo all’onere di comunicazione, rivelandosi quella in esame una prescrizione per l’autorità meno gravosa rispetto a quella decadenziale proposta dalla società ricorrente; limitazione di efficacia che, tra l’altro, la stessa disposizione di cui all’art. 21 bis intende addirittura recessiva rispetto alle garanzie del privato nei casi in cui il provvedimento inibitorio non avente carattere sanzionatorio – come nel caso della s.c.i.a. - contenga una motivata clausola di immediata efficacia, oppure abbia carattere cautelare ed urgente.
Passando all’esame del secondo motivo di ricorso, rileva il Collegio che il giudicato formatosi sulla sentenza di questa Sezione del 22 maggio 2012 n. 2361, di annullamento della nota n. 8945 del 1° marzo 2012 con la quale il Comune resistente aveva negata la possibilità del cambio di destinazione d’uso dell’immobile per cui è giudizio, non consente affatto di ritenere definitivamente acquisito tale mutamento; invero, la ragione dell’annullamento in sede giurisdizionale ha riguardato esclusivamente un vizio strutturale dell’atto, in particolare l’insufficienza e l’inidoneità della motivazione, esito processuale che non consente in alcun modo di ritenere consumato in senso favorevole alla ricorrente il potere di verifica e controllo di cui è titolare l’autorità ai sensi dell’art. 19 della legge 7 agosto 1990 n. 241; invero, spontaneamente o anche su iniziativa di parte in sede di esecuzione, il Comune avrebbe dovuto dare esecuzione alla sentenza rinnovando l’esercizio del potere entro il termine ordinario di legge decorrente dalla comunicazione della decisione o dalla sua notificazione, se anteriore; pertanto, nulla avrebbe potuto impedire al Comune di Santa Maria Vetere di inibire l’attività oggetto della s.c.i.a. presentata dalla società ricorrente a causa di una destinazione d’uso dell’immobile non consentita dallo strumento urbanistico generale vigente.
Nemmeno fondata è la terza censura; invero, recita la nota impugnata che la destinazione urbanistica dell’area interessata è di «opere di interesse collettivo e che non vi è dubbio alcuno che ai sensi dell’art. 3 del d.m. n. 1444/68 le attività collettive rientrano, insieme agli spazi pubblici, al verde e/o parcheggi tra le aree destinate a standard»; ritiene il Collegio che tale descrizione rende efficacemente l’idea dell’amministrazione secondo cui la destinazione urbanistica in atto di “opere di interesse collettivo” finendo per confluire nelle opere di urbanizzazione, primaria, ai sensi dell’art.9, comma 7 del d.p.r. 6 giugno 2001 n. 380, è incompatibile con la destinazione ad uso ad uffici richiesta dalla società ricorrente, che invece non rientra nella medesima categoria di opere descritta dalla citata norma di settore; è comunque appena il caso di aggiungere che le opere di interesse collettivo, a prescindere dalla loro riconducibilità alle categorie di cui all’art.16 del d.p.r. 6 giugno 2001 n. 380, non possono in linea generale ritenersi assimilabili alla destinazione ad uso ufficio cui aspira la società ricorrente.
Quanto alla quarta censura, nessun profilo di contraddittorietà sussiste nel comportamento dell’amministrazione comunale che ha ritenuto che la destinazione d’uso dell’immobile fosse ad opere di urbanizzazione sia ai fini dell’esonero dal pagamento degli oneri di urbanizzazione e del costo di costruzione, sia dal punto di vista dell’impossibilità di un suo mutamento.
Né pregio ha l’ultima censura, dal momento che l’espressione di «non assentibilità» delle opere, contenuta nella nota impugnata, lungi dall’esprimere un diniego di autorizzazione, ha riguardato l’incompatibilità tra la destinazione d’uso effettiva ed attuale dell’immobile e l’oggetto della s.c.i.a. presentata dalla società ricorrente; d’altronde, l’esercizio del potere inibitorio contemplato dalla legge è stato propriamente riferito alla diffida all’intrapresa delle opere.
Al rigetto del ricorso segue anche l’infondatezza della domanda risarcitoria.
Le spese seguono la soccombenza con condanna della società ricorrente al relativo pagamento in favore dell’amministrazione resistente nella misura di €2.500,00(duemilacinquecento/00).
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania (Sezione Ottava)
definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge e condanna la società ricorrente al pagamento delle spese processuali in favore dell’amministrazione resistente nella misura di €2.500,00(duemilacinquecento/00).
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Napoli nella camera di consiglio del giorno 5 giugno 2013 con l'intervento dei magistrati:
Antonino Savo Amodio, Presidente
Paolo Corciulo, Consigliere, Estensore

Renata Emma Ianigro, Consigliere