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domenica 23 gennaio 2011

Venerdì 28 gennaio presso l’Università Facoltà di Giurisprudenza PROCESSI MEDIATICI O PROCESSI IN AULA?

Conferenza dibattito con il criminologo Carmelo Lavorino, il giornalista Pasquale Di Benedetto, con i proff.   Mariano Menna e Giuliano Balbi,  docenti della Seconda Università degli Studi di Napoli – Organizzazione del Formed (Scuola di Scienze Crimonologiche)  – Aula Franciosi ore 15,00

     S. Maria C.V. ( di Ferdinando Terlizzi ) – Organizzata dal FORMED di Caserta ( Scuola di Scienze  Criminologiche e Criminalistiche ) di cui è direttrice la Prof.ssa Vittoria Ponzetta, in collaborazione con la Facoltà di Giurisprudenza della Seconda Università degli Studi di Napoli, si terrà presso l’Aula Franciosi ( Palazzo Melzi, via Mazzocchi S. Maria C.V. ) con inizio alle ore 15,  una conferenza dibattito sul tema:“ Processi Mediatici o Processi in aula?)”.
     Relatori saranno il giornalista Pasquale Di Benedetto, esperto di informazione istituzionale,  che parlerà sul tema della “storia della spettacolarizzazione dei crimini e mass-media”; seguirà poi l’intervento di Carmelo Lavorino, criminologo, criminalista, investigatore di indagini penali, criminal profiler, docente dell’Università dell’Aquila, che terrà una lezione  “sullo studio ed analisi dei dati info-investigativi della Scena del Crimine e del Criminal Profiling: dal giornalismo d’inchiesta allo spettacolo giornalistico”.     
     Sul processo penale e mass-media parlerà invece il prof. Mariano Menna, docente di diritto processuale penale della 2° Università di Napoli; mentre  moderatore  del dibattito sarà il prof. Giuliano Balbi, docente di diritto penale della Seconda Università degli Studi di Napoli.
     Il tema è di  scottante attualità,  sia  per i molti  processi mediatici che si svolgono ogni giorno sulle tv di Stato e non,  e sia per il  modo in cui i media nazionali hanno affrontato gli ultimi fatti di cronaca nera. Le modalità del racconto e la frequenza degli aggiornamenti impongono una riflessione sull’orientamento che l’industria dell’informazione ha imboccato negli ultimi decenni divisa fra informazione e audience.    
       “E’ possibile che i media italiani - ha detto il prof. Mario Morcellini, preside della Facoltà di Scienze della Comunicazione ( insegna sociologia della comunicazione ) – stiano semplicemente entrando in una nuova fase della spettacolarizzazione del dolore superando i modelli della “Tv del dolore” e della “Tv verità”, nati tra gli anni 80 e 90. Anche in quei casi c’era un esplicito tentativo di utilizzare strumentalmente il dolore per  fare audience, ma con una differenza rispetto a oggi: in passato si cercava una legittimazione nella funzione di denuncia sociale e nella catarsi del pubblico, mentre ora la rappresentazione del dolore insiste sulla drammatizzazione dei casi di cronaca nera,  proponendo meccanismi di identificazione del pubblico con le vittime e di colpevolizzazione dei presunti aggressori più vicini a quelli delle fiction che a quelli del giornalismo. C’è una stupefacente polarizzazione del racconto in “buoni” e “cattivi” come in certi film western un po’ datati”.
       Lo scrittore  Vincenzo Borriello ( autore del best seller “L’uomo che amava dipingere”),  dice: “Sui giornali di oggi si fa un gran parlare della spettacolarizzazione del delitto di Sarah Scazzi, e dei delitti precedenti, vedi i casi di Cogne o di Chiara Poggi. Ci si chiede se sia giusto o meno mandare in diretta (o in differita) il dolore delle persone coinvolte. Secondo me il problema è un altro: fatto salvo il diritto di cronaca, come dare una notizia e come dibattere, ammesso che abbia senso dibattere un omicidio, o quantomeno dibatterlo per giorni, se non per settimane. Vorrei però lasciare da parte per un attimo i mass media e concentrarmi sui fruitori dello stesso, ossia le persone comuni. In noi c’è una certa dose di morboso voyeurismo, la morte altrui, della persona con cui non abbiamo alcun legame, ci attrae, certamente perchè ci costruisce una barriara che, può sembrare paradossale, tiene la morte lontana da noi ( per la serie menomale che è successo a lui e non a me). Ovviamente la paura della morte di per sè non basta a giustificare in toto il macabro voyerismo, ma c’è anche il caso di chi soddisfa i suoi istinti di morte, celati nella parte più oscura della psiche umana, attraverso la cronaca nera, vivendoli attraverso di essa. Questo per dire che, se c’è una grandissima parte degli spettatori, la maggioranza, che si identifica con la vittima, c’è anche chi si identifica, consciamente o inconsciamente, con il carnefice. Per rafforzare la tesi del morboso voyerismo che in misura maggiore o minore ci colpisce, vorrei fare l’esempio di un incidente. Quante persone in autostrada si fermano a guardare un auto ribaltata e magari una persona in terra priva di vita? Tantissime, altrimenti non si spiegherebbe perchè si verificano rallentamenti fino alla paralisi del traffico anche nella corsia opposta a dove è avvenuto l’incidente. Ora torniamo a come vengono date certe notizie di cronaca e come sono gestite nei giorni successivi. Cosa hanno in comune, dal punto di vista mediatico i casi di Cogne/Franzoni, Chiara Poggi, Meredith Kercher, Sarah Scazzi ed altri che ora sicuramente dimentico? Cosa differenzia questi omicidi da un morto di Camorra o da un incidente sul lavoro dal punto di vista della cronaca? La struttura del thriller, la cronaca di un evento drammatico viene scandita, viene ritmata come se si trattasse di un libro o di un film thriller. Ci sono tutti gli ingredienti, la vittima, i sospettati, i punti oscuri, la ricerca del movente, le indagini su più fronti, chi era la vittima, si scava nel suo passato e così via. Così ci appassioniamo ad un fatto di cronaca come se fosse un libro, come se fosse finzione e su questo, le trasmissioni televisive ci marciano, ci costruiscono su trasmissioni e trasmissioni. Invitano psicologi, criminologi,  magistrati, avvocati in cerca di notorietà (si è attaccato tanto la trasmissione di “Chi l’ha visto”, ma in fondo loro si trovavano li e per caso la confessione dell’assassino è avvenuta mentre era in onda la diretta. Andrebbe messo sotto accusa invece chi ha dato la notizia prima ai giornalisti in loco e poi ai congiunti), ricordate i famosi plastici di Porta  a Porta per ricostruire i delitti, la bicicletta in studio (caso Poggi-Stasi)? Una cosa del genere, non è forse trasformare la realtà, un vero omicidio, in un thriller che appassiona gli spettatori? D’altro canto lo spettatore da un feedback in termini di share, ed uno share alto vuol dire attirare inserzionisti (le pubblicità durante le trasmissioni in parole povere), quindi l’approfondimento sul fatto di cronaca nera è plasmato ed adattato alle esigenze televisive con un piglio che definirei “scientifico”. Tutto è simulato negli studi televisivi, da come è avvenuto il delitto fino addirittura al processo con tanto di colpevolisti ed innocentisti che ricoprono rispettivamente il ruolo della difesa e della pubblica accusa (ricordate  i seri dubbi al limite della difesa avanzati da Belpietro sulla colpevolezza di Annamaria Franzoni?). In tutto questo il dolore vero, quello non simulato dei parenti delle vittime passa in secondo piano a meno che in un dato frangente narrativo non servano delle scene di lacrime per dare maggior drammaticità al tutto. Ma in tutto questo, noi stiamo li a guardare, non cambiamo canale e questo ci rende complici di chi fa la trasmissione per le ragioni sopracitate e così il dolore dallo sgomento generale iniziale, diventa spettacolo, intrattenimento”.
     Di questo e di altro si parlerà il 28 prossimo nel corso dell’interessante incontro con giormlisti, criminologi, esperti di investigazioni e docenti universitari.