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martedì 2 febbraio 2010

OPERAZIONE THANATHOS - CHIUSE LE INDAGINI MA NON C'E' CARMINE LISI


SANTA MARIA CAPUA VETERE  – A distanza di giusto un anno dalla operazione Thanathos , la procura della repubblica di Santa Maria Capua Vetere chiude l’indagine e quantifica in 35 indagati il resoconto dell’operazione. Ma fra questi non vi è il responsabile dell’istituto di medicina legale  del’ospedale San Sebastiano di Caserta il dottor Carmine Lisi . Infatti il suo nome non figura nell’elenco degli indagati.   «Thanatos» fu  eseguita dai carabinieri di Caserta nei confronti di 22 persone, un provvedimento che fu firmato  dal gip del tribunale di Santa Maria Capua Vetere, Antonio Baldassarre. Sono indagati gli infermieri Domenico De Marco e Antonio Cammarota dell’ospedale San Sebastiano, l Giuseppe Parillo (dipendente della Last Travel), Andrea Vecchione, i fratelli Cerreto e i fratelli Francesco e Paolo Conte Domenico, Giovanni ed Edoardo Scalera della Last Travel, l’amministratore di quest’ultima Pasquale Sagliano, gli imprenditori Enrico Imparato, Gennaro Trombetta, Luciano Conte e per l’infermiere Antonio Chianese. L’inchiesta, nacque  per caso da una serie di intercettazioni telefoniche e poi supportata dalla denuncia di un imprenditore del settore delle pompe funebri, avrebbe accertato un giro di mazzette all’obitorio di Caserta. Dai 50 ai 200 euro a salma per un guadagno medio di circa 6mila euro al mese. Questo, secondo l’accusa, quanto guadagnato dai componenti di una vera e propria associazione per delinquere che gestiva il controllo delle persone decedute: salme da veicolare dall’obitorio dell’ospedale di Caserta, alle imprese «amiche» per accaparrarsi il funerale in alcune aree della provincia di Caserta e di Napoli. I carabinieri di Caserta infatti  accertarono  che gli impiegati della sala mortuaria dell’Ospedale Civile di Caserta procuravano solo ad alcune imprese di pompe funebri (organizzatesi su base territoriale all’interno della provincia di Caserta) i dati anagrafici delle persone appena decedute nei vari reparti dell’ospedale casertano, così consentendo a tali imprenditori di giungere tempestivamente in ospedale per il trasporto della salma e per l’organizzazione dei funerali, lasciando così intendere ai familiari delle persone decedute che tale servizio fosse convenzionato con la struttura sanitaria pubblica. In cambio, i titolari delle pompe funebri corrispondevano agli impiegati dell’ospedale di Caserta somme pari a 200 euro per ogni funerale organizzato, così da consentire a ciascun impiegato di incassare illecitamente circa 6.000 euro pro capite mensili, spesso incassate dagli impiegati “a domicilio”, ossia recandosi direttamente – con cadenza mensile - presso le sedi delle imprese funebri coinvolte nelle indagini. Il sistema corruttivo era talmente collaudato e radicato nel sistema della gestione della sala mortuaria dell’Ospedale di Caserta che ogni impresa funebre favorita dalla prestazione dei pubblici impiegati ricorreva alla sistematica dazione della somma illecita in favore dei pubblici impiegati, tanto che è stata ipotizzata – allo stato delle indagini – l’esistenza di un sistema corruttivo “ambientale”, ossia talmente radicato nella abitudini illecite dei protagonisti da non richiedere alcuna condotta di trattativa o di persuasione nel raggiungimento dell’accordo illecito.