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lunedì 6 aprile 2009

TERREMOTO IN ABRUZZO, NON PAROLE , MA MANI PER TIRARE FUORI LE PERSONE DA SOTTO LE MACERIE


Avevo 21 anni e in quel periodo quando si registrò la scossa di terremoto nell’alta irpinia ero sotto le armi e più precisamente a Persano, alle porte di Eboli in provincia di Salerno , in un luogo che dai commilitoni veniva chiamata la valle dei serpenti.
Fu la prima grande esperienza. Giovane pivello no sapevo cosa era un terremoto : quella sera del 23 novembre del 1980 partimmo dalla Caserma e giungemmo presso l’ospedale di Oliveto Citra intorno alle 22,00. Da un rapido controllo i nostri ufficiali conversero verso i centri di Laviano.
Giungemmo intorno alle 23.30 e prima dei vigili del fuoco . Avevamo pale , ma soprattutto mani che cercavano di tirar fuori le persone che erano imbottigliate sotto le macerie. Un intera nottata sotto una luna che cercava di farci luce per entrare i corpi delle persone ferite e morte . Una notte che non dimenticherò facilmente perché la prima cosa che feci ed insieme ad alcuni miei commilitoni salimmo su una strada che portava in un posto dove si scava per cercare di salvare una famiglia. In quel momento si registrarono altre scosse di assestamento , ma noi imperterriti scavavano con le sole mani affinché si potesse aprire un varco. Ecco cosa serve adesso nei centri colpiti dal terremoto, mani che scavano e devono essere migliaia di migliaia affinché si possa salvare qualcosa , ma anche cittadini rimasti intrappolati . Oggi i soldi le chiacchiere , i proclami politici, le interviste i sopralluoghi eseguiti da personaggi politici non servono. Invece servono mani affinché si possano salvare i cittadini.