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venerdì 17 luglio 2020

NAPOLI AGGREDITO AVVOCATO CASERTANO A CASTELCAPUANO



La vicenda è accaduta Il 14 luglio verso le ore 10.30 a Castelcapuano. L’avvocato Pasquale Rocco si era recato per incontrare una collega per ragioni professionali.
Nell’attesa un energumeno si è avvicinato abbastanza  arrabbiato perché la cancelleria era chiusa  all’avvocato casertano. L’avvocato Rocco gli faceva presente che doveva prenotare l’accesso e addirittura gli  chiedeva il numero del dirigente che l’avvocato casertano  non aveva è così inopinatamente,  aggrediva pensando che non voleva darglielo cercando  di strappargli   da mano il telefono.  Non ha avuto nenache il tempo di reagire  tanto è che l’avvocato Rocco addirittura ha riportato una frattura alla mano sinistra con una prognosi di 20 giorni

martedì 14 luglio 2020

ESCLUSIVO - IL TRIBUNALE DI SANTA MARIA RIGETTA IL RICORSO DI ALCUNI AVVOCATI CHE DESIDERAVANO DEFENESTRARE IL NUOVO CONSIGLIO DI AMMISTRAZIONE DELLA FEST


TRIBUNALE DI SANTA MARIA CAPUA VETERE
- III Sezione Civile -
______________________________


Il giudice
letti gli atti del procedimento n. 10771 del R.G. dell’anno 2019;
sciogliendo la riserva formulata in udienza CARTOLARE;
letti gli atti, le memorie autorizzate e le note per l’udienza cartolare;

OSSERVA

I ricorrenti, meglio generalizzati in atti, tutti agendo nella qualità di avvocati
del Foro di Santa Maria Capua Vetere nonché componenti (eccezion fatta
per i signori avvocati Giuseppe Tamburrino e Laura Tramontano) del
Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Santa Maria Capua Vetere   hanno
adito in sede cautelare ex art. 700 cpc il Tribunale chiedendo l’emanazione
di una pronuncia che, rilevata incidentalmente la nullità e/o l’inesistenza
della delibera assunta dal Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Santa
Maria  Capua  Vetere  del 4.12.2019 (con  cui  il  Consiglio  deliberando
sull’argomento  posto  al  n. 11  dell’ordine  del  giorno  ha  nominato  il
Consiglio   di   Amministrazione   della   Fondazione   FEST)   disponesse
l’immediata sospensione della delibera, con conseguente caducazione di
tutti gli atti successivi e dipendenti.

I ricorrente, ai predetti fini, hanno deodotto:
che il COA, nel deliberare la nomina dei componenti del CdA avrebbe agito nell’esercizio di poteri non imperativi e non pubblicistici, e quindi “jure privatorum” con conseguente competenza del Giudice Ordinario;





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che    la  delibera  sarebbe  nulla  per  decadenza  e,  gradatamente  per
incompatibilità, di alcuni dei consiglieri in quanto con delibera in data
22/5/2019 il COA, aveva abrogato l’art 9 del Regolamento Generale del
C.O.A. che sanciva l’incompatibilità del Presidente e dei componenti del
COA  di  rivestire  la  carica  di  Consigliere  di  amministrazione  della
Fondazione FEST, e per l’effetto, lo stesso Presidente e i Consiglieri, nella
stessa   seduta (con   il   voto   contrario   dei   consiglieri   ricorrenti)   si
autonominavano nel CdA della Fondazione rivestendo entrambe le cariche
fino all’11.11.2019 allorquando rassegnavano le dimissioni dalla seconda
con conseguente asserita decadenza e obbligo di astensione dalla votazione
del nuovo CdA per conflitto di interessi e violazione dello Statuto;
che la delibera impugnata sarebbe affetta da nullità poiché l’art. 9 dello
Statuto della Fondazione FEST stabilisce che “i componenti del Consiglio
di  Amministrazione  vengono nominati dal  Consiglio dell’Ordine degli
Avvocati tra gli iscritti all’Albo degli avvocati si Santa Maria Capua
Vetere”  mentre,  nel  caso  di  specie,  in  dispregio  delle  prerogative
dell’organo deliberante, la nomina dei componenti del CdA della FEST
sarebbe stata decisa  omettendo di illustrare l’argomento all’ordine del
giorno del Consiglio e la scelta delle modalità con le quali procedere alla
votazione è stata rimessa alla discrezionalità del Presidente;
che sussisterebbe la violazione del regolamento per l’Organizzazione e il
Funzionamento del Consiglio e dell’Assemblea, approvato con delibera
consiliare 7.6.2016 nonché la violazione dell’art. 97 Cost.;
che la delibera impegnata sarebbe affetta dal vizio di eccesso di potere non
essendo stato consentito alla minoranza ampia informazione e discussione;
che sussisterebbe l’incompatibilità dell’avv. Roberto Santoro a ricoprire la
carica di consigliere della Fondazione FEST   in  quanto   procuratore
costituito in un giudizio promosso nei confronti della Fondazione innanzi al





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Tribunale di Santa Maria Capua Vetere, iscritto al n. 7401/2017 R.G.L.,
Giudice del Lavoro Dott.ssa Cangiano (prossima udienza 17.6.2020);
che sussiste il “periculum in mora” avendo i ricorrenti l’interesse ad ottenere
un   provvedimento   anticipatorio   urgente,   strumentale   rispetto   alla
proposizione   della   domanda   di   merito   con   la   quale   chiederanno
l’annullamento  della  delibera 4.12.2019  e  degli  atti  successivi,  previa
declaratoria  di  decadenza  dei  consiglieri  dell’Ordine  ovvero  previa
declaratoria di incompatibilità dei medesimi in quanto contemporaneamente
componenti il CdA della Fondazione FEST.
Pertanto, i ricorrenti, sulla base dei predetti elementi di fatto e di diritto,
hanno  chiesto  l’immediata  sospensione  della  delibera  del  Consiglio
dell’Ordine degli Avvocati di Santa Maria Capua Vetere del 4.12.2019 nella
parte in cui, deliberando sull’argomento posto al n. 11 dell’ordine del
giorno, ha nominato il Consiglio di Amministrazione della Fondazione
FEST, con conseguente caducazione di tutti gli atti successivi e dipendenti.
Si  è  costituito  il  Consiglio  dell’Ordine  degli  Avvocati  che,  in  via preliminare ha eccepito;
il difetto di giurisdizione del giudice ordinario, sussistendo la giurisdizione del giudice amministrativo;
l’inammissibilità del ricorso per assenza di indicazione delle specifiche
conclusioni della causa di merito o quantomeno l’inesatta individuazione di
quest’ultima;
l’inammissibilità del ricorso anche per mancata evocazione in giudizio dei soggetti asseritamente ritenuti incompatibili o decaduti;
l’insussistenza del conflitto di interesse o incompatibilità tra le funzioni di
consigliere dell’Ordine e componente del CDA della Fondazione Forense;





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l’insussistenza  della dedotta nullità o annullabilità    della delibera  per
invalidità dei voti, o in conseguenza della decisione sulle modalità della
votazione;
l’insussistenza del preteso eccesso di potere, non sussistendo alcun abuso della maggioranza o eccesso di potere o presunto vizio di volontà del deliberato assembleare;
concludendo per il rigetto del ricorso.

Si costituiva, inoltre, l’avv. Roberto Santoro deducendo l’assenza di ipotesi
di incompatibilità nella sua posizione e insussistenza di conflitto di interessi
a  ricoprire  la  carica  di  componente  del  C.d.A.  della  F.E.St.,  avendo
rinunciato, a qualsiasi incarico professionale nel giudizio avverso La Fest
molto tempo prima della nomina a componente del C.d.A. della F.E.St.,
avvenuta con delibera del Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di S. Maria
C.V. del 4 dicembre 2019; nonché deducendo l’inammissibilità del ricorso
in rito ed in fatto del ricorso; chiedendo, altresì, la  condanna dei ricorrenti
ex articolo 96 c.p.c.

Fatte queste premesse possono analizzarsi le diverse questioni preliminari e procedurali che sono state poste dalle parti e che appaiono dirimenti nell’analisi della presente procedura.

Preliminarmente il Tribunale rileva che il contraddittorio processuale risulta
regolarmente costituito sia alla luce dell’avvenuta costituzione in giudizio
del Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Santa Maria Capua Vetere.
Sempre in via preliminare va osservato che nessun dubbio può sussistere in
ordine   alla   sussistenza   della   giurisdizione   dell’Autorità   Giudiziaria
Ordinaria. (cfr ex multis sentenza 23 gennaio 2014, n. 68, il Tar Lombardia,



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sezione Brescia; sentenza Consiglio di Stato, sez. V, del 28 giugno 2012, n.
3820).
Invero, sebbene il Consiglio Nazionale Forense ed i Consigli dell’Ordine
territoriali siano da ritenersi pacificamente degli enti di diritto pubblico,
tuttavia il criterio di ripartizione degli affari fra la giurisdizione Ordinaria e
quella Amministrativa (artt. 24 e 103 Cost., come interpretati da Corte
Costituzionale n. 204/2004 e 191/2006) va individuato sulla base della
natura giuridica della posizione soggettiva azionata in giudizio (art. 386
c.p.c.), non rilevando invece la natura giuridica, pubblicistica o privata,
della parti del processo.
Ciò significa che, una volta accertata la natura di soggetto privato della Fondazione, è possibile qualificare in termini privatistici, quale esplicazione dei poteri che la normativa civilistica riconosce agli enti locali individuati nello Statuto (il COA), anche la nomina e la revoca, da parte degli enti pubblici, dei componenti del Consiglio d’Amministrazione.
Nel caso di specie, lo statuto della Fest, una fondazione di diritto privato, all’art. 9 attribuisce al Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Santa Maria Capua Vetere il potere di nomina e revoca degli amministratori. Trattasi di atti di natura pacificamente privatistica.
Da quanto sopra esposto consegue che la revoca e la nomina dei componenti
del  Consiglio  d’amministrazione  di  un  ente  privato  integrano  atti  di
autonomia privata che non partecipano della natura dei provvedimenti
amministrativi e sono regolati, quanto alla loro validità ed efficacia, dalle
norme del diritto privato, in guisa da generare rapporti di diritto privato e
posizioni di diritto soggettivo, con conseguente giurisdizione del giudice
ordinario (cfr. Cassazione civile, sez. un., 26 febbraio 2004 , n. 3892
Consiglio di stato, sez. VI, 11 settembre 1999, n. 1156 Consiglio di stato,
sez. IV, 17 giugno 2003, n. 3405).
Sussiste la giurisdizione del giudice ordinario.




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Venendo ai profili di ammissibilità dell’invocata misura cautelare, va osservato che il provvedimento cautelare d’urgenza previsto dall’art. 700 c.p.c., in quanto “norma di chiusura” della materia cautelare, si configura   come   un   rimedio   a   carattere   meramente   residuale, azionabile solo ove non sussistano strumenti ad hoc.
In ambito societario, copiosa giurisprudenza ne testimonia l’impiego per la protezione di interessi tra loro differenziati, comunque non tutelabili attraverso strumenti cautelari tipici.
In virtù di tale principio, problemi particolari si pongono con riguardo
al coordinamento del citato rimedio con quello previsto dall’art. 2378
c.c., in tema di impugnazione delle delibere assembleari.
La norma consente di richiedere, contestualmente all’impugnazione
della  delibera (seppur  con  separato  ricorso),  la  sospensione  della
relativa esecuzione.
L’art. 2378 c.c., invero, prevede una misura cautelare tipica finalizzata a
tutelare la fruttuosità dell’azione di annullamento proposta, e cioè ad evitare
che l’attore possa ricevere pregiudizio durante le more del processo volto
alla invalidazione della delibera assembleare ex artt. 2377 e 2378 c.c..
La norma, benché non sia espressamente richiamata dall’art. 2379, ult.
comma,   c.c.,   trova   senz’altro   applicazione,   oltre   che   alla   delibere
annullabili, anche alle delibere nulle, nel senso che, pur in difetto di una
specifica previsione normativa, l’impugnante può chiedere la sospensione
della  deliberazione  anche  nel  caso  in  cui  l’impugnazione  è  volta  ad
ottenerne  non  già  la  pronuncia  di  annullamento,  quanto  piuttosto  la
declaratoria di nullità.
Come   appare   evidente   dalla   formulazione   della   norma,   il
provvedimento   cautelare   previsto   dall’art. 2378   si   riferisce
strettamente all’anticipazione degli effetti della sentenza di merito e,





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dunque, dell’eventuale annullamento (o declaratoria di nullità) della delibera impugnata.
L’applicabilità del rimedio di cui all’art.     700 cpc deve, pertanto, intendersi tassativamente preclusa ove sia volta ad ottenere, quale petitum, un provvedimento che cauteli il diritto soggettivo già leso dalla delibera invalida, anticipando gli effetti della sentenza di merito (e,  dunque,  ove  presupponga  l’avvenuta  deliberazione). (cfr  Trib. Napoli, 4 agosto 2010, in Il Caso.it, Trib. Roma, Sez. specializzata in materia di impresa, 3 agosto 2016).
È fatta salva, eventualmente, la controversa questione inerente la cd.
delibera negativa (delibera, cioè, di non approvazione di una specifica
proposta, che determina la persistenza dello status quo ante) la quale,
pertanto, non sarebbe suscettibile di esecuzione.  L’adozione di una
delibera genera, infatti, di regola, l’obbligo per gli amministratori di
porre in essere tutti i provvedimenti necessari alla sua attuazione.
Tali  motivi  hanno  posto  dubbi  circa  l’opportunità  di  escludere
l’applicabilità  del  rimedio  ex  art. 2378  a  tale  fattispecie,  che
espressamente  si  riferisce  alla  sospensione  dell’esecuzione  della
delibera. In   giurisprudenza,   è  stata  sostenuta   una  posizione
favorevole all’esclusione, ammettendosi, d’altra parte, la possibilità di
sopperire all’inapplicabilità dello strumento tipico       (art.   2378), con
quello  residuale  ex  art.    700   (Trib.  Milano,  Sez.  Specializzata  in
materia d’imprese, Ord., 28 novembre 2014, in Giur. It.).
La giurisprudenza ammettendo il ricorso ex art. 700 cpc in tali ipotesi ha indirettamente confermato l’inconsistenza del rimedio atipico, al quale va, comunque, sempre preferito quello tipico.
La  difficoltà  concreta  di  tale  ricostruzione  è,  tuttavia,  proprio
l’individuazione di una possibile lesione del diritto soggettivo del
socio che non sia in alcun modo riconducibile, ex post, alla lesione



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cagionabile dalla delibera. Di tale provvedimento non dovrebbe, in altri termini, essere possibile la censura, mediante l’impugnazione della delibera stessa.
Un  diverso  e  secondo  orientamento,  sostiene,  invece,  coincidenti
l’interesse  tutelabile  ex  ante (anche  attraverso  il  provvedimento
d’urgenza)   e   quello   tutelabile   ex   post (mediante   la   normale
impugnazione della delibera). La tutela ex ante sarebbe finalizzata,
pertanto, ad evitare che il diritto del socio venga leso con l’adottanda
delibera. In ogni caso, sarebbe sempre necessaria un’analisi empirica,
finalizzata a valutare caso per caso se sia concretamente individuabile
un interesse autonomo in nessun modo tutelabile ex post attraverso
l’impugnazione e la sospensione dell’esecuzione della delibera (Trib.
Mantova, 20 dicembre 2007, in Il Caso.it)
Tale orientamento, a parere di chi scrive appare poco convincente in
quanto incompatibile con la necessaria residualità dello strumento
atipico.
Pertanto, è da ritenersi che la tutela ex art.    2378 non necessiti, in
realtà,  di  ulteriori  integrazioni,  disciplinando,  dunque  una  misura
cautelare “tipica”, sia pure non compresa nel codice di rito, che in quanto
tale preclude la concessione della tutela cautelare “atipica” di cui all’art. 700
c.p.c., che è esperibile solo in via residuale, quale norma di chiusura che può
operare solo quando nessun altro rimedio cautelare è esperibile.
Questa peculiarità del provvedimento d’urgenza ex art. 700 c.p.c., definita
come “sussidiarietà” o “residualità” ne limita l’applicazione e ne determina
l’inammissibilità   qualora   la   parte   abbia   a   disposizione   un   altro
provvedimento cautelare tipico. Al contrario, nelle vicende societarie, la
sospensione degli effetti di deliberazioni degli organi sociali, quand’anche
incidenti sul mantenimento della posizione sociale di uno o più soci, può
essere richiesta, a norma dell’art. 2378, co. 4, c.c. soltanto con ricorso



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depositato contestualmente alla proposizione di un’azione di annullamento o
nullità della relativa deliberazione, con la conseguenza che risulta preclusa
al socio la possibilità di ottenere la medesima tutela mediante l’esperimento
del rimedio residuale e “atipico” di cui all’art. 700 c.p.c. (cfr Trib . Milano
sez. fer. N.RG 35415/2019 R.G.  www.giurisprudenzadelleimprese.com;
Trib. Monza, 17 aprile 2000, seguita poi da Trib. Milano, 18 luglio 2001).
In forza di tutto quanto premesso il ricorso va dichiarato inammissibile.

Stante   i   motivi   della   decisione   in   rito   e   la   complessità   nonché
controvertibilità delle questioni trattate sussistono giuste ragioni per la
compensazione fra le parti delle spese del giudizio non sussistendo i
presupposti in fatto ed in diritto per la condanna risarcitoria di cui all’art. 96
cpc.

PQM

Il Tribunale di S. Maria C.V., terza Sezione Civile, in composizione monocratica così provvede :

rigetta il ricorso;


compensa le spese

Si comunichi


S. Maria C.V.,13/07/2020
Il giudice
dr.Rita Di Salvo