Con il caso Gladiator è emerso un dato
sconcertante: intorno al pallone si gioca altro. A S. Maria Capua Vetere il
gioco del calcio non è solo lo sport più popolare, uno spettacolo
agonistico, una forma d’intrattenimento, di aggregazione, di inclusione sociale
ma la sua popolarità viene sfruttata come una fonte redditizia di guadagno per
affaristi e come mezzo di propaganda per politici di turno che cercano di cavalcare
l'onda del tifo sportivo per i propri interessi e il proprio tornaconto
personale. Altrimenti come altro si potrebbe spiegare tutto quello che sta
accadendo alla società sportiva sammaritana e i malumori dei tifosi
elettori…ops cittadini.
La passione
ce la mettono i tifosi, la competenza i calciatori ma tutto il resto è un ciclo
continuo di errori, a partire dalla presidenza. Improvvisati imprenditori
comprano la squadra promettendo di gestirla come e meglio delle aziende che
rappresentano, poi dopo qualche stagione, fatta di successi e, forse,
inaspettati traguardi, si volatizzano proprio nel momento di maggiore impegno, il
campionato.
Nessuno ha
voluto salvare il Gladiator. Nessuno ha avuto la forza di garantire la
fideiussione di 31 mila euro da depositare in Lega a Roma per evitarne la
scomparsa dalle mappe del calcio italiano. Nessuno si è fatto promotore di
iniziative per impedire questo schiaffo alla città e alla sua tifoseria che,
nonostante la mobilitazione, ricorderà il 27 luglio 2017 come il giorno più
triste della storia del Gladiator.
A fallire
non è stato solo il Gladiator ma in questa triste morte annunciata ognuno deve
assumersi le proprie responsabilità, a partire dalla società a finire ai nostri
rappresentanti politici che in campagna elettorale si sono presentati come
paladini della città, dello sport e del Gladiator. Bastava un atto di volontà
da parte di assessori, sindaco e consiglieri che, in un momento di criticità
come questo, ne avrebbero guadagnato in consensi sul territorio e ben oltre. Che
cos’è lo sport se non uno strumento di rilancio politico e culturale? Eppure il
fondo per la cultura esiste nella pianificazione di tutti i comuni, specie
comuni così grandi come il nostro. Ci si poteva organizzare com’è stato fatto
per altre iniziative legate all’immagine della città. Vedi per esempio i
contributi alle chiese per le feste religiose rionali. Vedi le biciclettate.
Vedi gli alberelli natalizi alle periferie e tante altre iniziative considerate
“meritevoli” di essere patrocinate economicamente dall’ente comunale.
E anche
laddove non vi fosse alcun fondo, alcuna somma da destinarvi, se proprio non
c’erano nemmeno gli occhi per piangere, ognuno avrebbe potuto mettere mano alla
tasca e tirar fuori un po’ di gettoni, di compensi e di indennità che
mensilmente percepiscono. Certamente non sarebbero finiti sul lastrico, giacché
ognuno di loro si è proposto come tutore della città e non come mercenario.
Ed ecco che
il ciclo si ripete con l’arrivo puntuale, a funerale finito, del buon
sammaritano di turno che tra una benedizione e l’altra, dispensa fumi e odori
tra le genti come puro atto di responsabilità! La politica è un’altra cosa.